di Gianna Pontecorboli da New York
In una Assemblea Generale dell’Onu piena di tensioni, la decisione sul destino delle sanzioni nei confronti dell’Iran ha rappresentato, per molti versi, un percorso scontato. All’ombra dei conflitti a Gaza e in Ucraina, però, proprio lo scontro sulle penalità reimposte a Teheran per il suo mancato rispetto degli accordi firmati nel 2015 ha dato un segnale preciso sui preoccupanti fallimenti della diplomazia sotto il tetto del Palazzo di Vetro ma anche qualche piccola speranza di apertura. E anche se nessuno sembra aver preso sul serio l’invito di Trump e Netanyahu all’Iran di unirsi un giorno agli accordi di Abramo, ha segnalato che la discussione potrebbe essere appena iniziata. “Nello scenario del conflitto in corso a Gaza e dell’instabilità del Medio Oriente, un collasso della questione nucleare potrebbe innescare una nuova crisi di sicurezza regionale, in contrasto con l’interesse comune della comunità internazionale”, ha avvertito Geng Shuang, vice ambasciatore della Cina all’Onu.
Apparentemente, il percorso della vicenda è stato quello previsto dagli esperti già da quando, con una mossa non del tutto inaspettata, la Germania, la Francia e la Gran Bretagna, i cosiddetti E3, avevano chiesto a fine giugno, dopo gli attacchi israeliani e statunitensi e la successiva decisione iraniana di sospendere le ispezioni dell’agenzia atomica IAEA, di mettere in atto la procedura dello “snapback”, cioè il termine della sospensione delle sanzioni garantita dall’accordo JCPOA. Quando, la settimana scorsa, il grande raduno annuale dei capi di Stato e di governo dei 193 paesi membri dell’Onu è cominciato, la diplomazia si è messa in moto con una serie di incontri protetti dalla riservatezza per evitare un passo potenzialmente doloroso e pericoloso per tutti. Tutti hanno parlato con tutti, anche se i colloqui a porte chiuse non hanno evitato le mosse già messe in programma.
Venerdì scorso, così, il Consiglio di Sicurezza si è riunito su richiesta della Russia e della Cina per esaminare una richiesta di estendere di sei mesi la sospensione delle sanzioni, inizialmente prevista per fine ottobre, ma anticipata a settembre dalla richiesta dei tre paesi europei. In pratica, un tentativo di bloccare la richiesta di utilizzare lo “snapback”, che in base all’accordo JCPOA non richiedeva un voto da parte dei membri del Consiglio di Sicurezza e quindi non avrebbe potuto essere respinta dal veto di uno dei membri permanenti. Attorno al tavolo semicircolare, però, il tentativo di vanificare l’iniziativa degli E3 ha incontrato un netto rifiuto. Solo l’Algeria e il Pakistan lo hanno appoggiato, mentre i voti contrari sono stati nove e le astensioni due. Già il giorno seguente, sabato, la richiesta di annullare la sospensione delle sanzioni è passata, come previsto, senza voto. “Gli Stati Uniti hanno tradito la diplomazia, ma gli E3 l’hanno seppellita”, ha commentato a caldo il ministro degli Esteri iraniano Seved Abbas Araghchi.
In realtà, per gli osservatori attenti, la chiusura della storia è apparsa soprattutto un atto formale, anche se nell’immediato futuro ha sicuramente imposto all’Iran un durissimo prezzo economico e militare. I tanti colloqui diplomatici a porte chiuse, anche se non hanno dato risultati immediati, hanno però anche lasciato aperte molte strade diverse per il futuro, alcune decisamente di chiusura e altre sottilmente possibiliste. Sicuramente deludenti, per esempio, sono stati gli incontri tra i diplomatici europei e quelli iraniani per tentare di evitare o almeno rimandare lo “snapback” e soprattutto quelli con i rappresentanti di Donald Trump, che avevano chiesto a Teheran di consegnare il suo uranio arricchito in cambio di una pausa delle sanzioni per un periodo di sessanta giorni.
“Se dobbiamo scegliere tra le domande irragionevoli degli americani e lo ‘snapback’, scegliamo lo ‘snapback’”, ha dichiarato secco a New York il presidente iraniano Masoud Pezeshkian prima di ritornare a Teheran. Contemporaneamente il suo governo ha richiamato per consultazioni gli ambasciatori iraniani in Francia, Germania e Gran Bretagna e lasciato aperte le minacce, sia pur smentite dal presidente iraniano, di alcune contromisure come il ritiro dal Trattato di non proliferazione nucleare. Altrettanto dura, dopo il voto in Consiglio di Sicurezza, è stata la reazione dei due paesi più vicini a Teheran, la Russia e la Cina. Nella sua conferenza stampa all’Onu subito dopo il voto, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov non ha fatto mistero di considerare la questione iraniana come uno dei fronti aperti e non ha evitato accuse pesanti nei confronti dei paesi occidentali, colpevoli a suo dire di voler reimporre delle sanzioni “inaccettabili e illegali”. Il rifiuto di rinviare la scadenza dei termini per lo “snapback”, ha spiegato: “ha messo a nudo la politica occidentale di sabotare la ricerca di soluzioni costruttive e il desiderio di ottenere concessioni unilaterali da Teheran attraverso ricatti e pressioni”. Contemporaneamente, tuttavia, non sono mancati i piccoli segnali di apertura per un dialogo futuro.
Sia pure indebolito dalle critiche dell’ala più conservatrice del suo governo, il moderato Pezeshkian ha lanciato anche qualche messaggio positivo e ha aperto la porta alla ripresa delle ispezioni della IAEA, anche se i controlli sull’uranio arricchito nei siti colpiti dai bombardamenti israeliani e americani sono rimasti incerti. “Non vediamo ragioni per un accordo se Israele e gli Stati Uniti fanno pressione per far cadere il nostro governo, ma se lo scopo è di tranquillizzare le preoccupazioni sul programma nucleare potremmo farlo facilmente. L’Iran non cercherà mai le armi nucleari, l’energia nucleare ci serve per usi civili”, ha spiegato parlando al Palazzo di Vetro con un gruppo di giornalisti Masoud Pezeshkian. “Noi non abbiamo mai attaccato nessuno, anche se saremo pronti a rispondere se saremo attaccati”.
“Gli Stati Uniti non vogliono danneggiare l’Iran e siamo aperti per continuare il dialogo”, gli ha risposto a distanza Steve Witkoff, l’inviato di Donald Trump per il Medio Oriente. “Anche se la ripresa delle sanzioni è stata la risposta giusta per quello che sta succedendo”, ha però aggiunto. L’adesione dell’Iran agli accordi di Abramo insieme all’Arabia Saudita, insomma, non sembra certo dietro l’angolo. Ma sotto il tetto del Palazzo di Vetro qualche speranza di riprendere il dialogo potrebbe essere rimasta.






