di Gianna Pontecorboli
New York – Il Segretario generale Antonio Guterres ha descritto ”un mondo in un turbine” che rischia di trasformare il Libano in un’altra Gaza. Pochi minuti dopo, nel suo discorso di addio alla comunità internazionale, Joe Biden ha preferito parlare di speranza, ricordando il lungo cammino che lui stesso e gli Stati Uniti hanno fatto in passato per aiutare a risolvere tanti conflitti che parevano impossibili, a cominciare dalla guerra in Vietnam.”Come leader non possiamo prenderci il lusso di reagire con disperazione alle difficoltà. Forse per tutto quello che abbiamo fatto nei decenni ho fiducia, so che c’è una strada per andare avanti. Le forze che ci uniscono sono più di quelle che ci dividono’, ha detto.
Così, proprio dalle prime parole pronunciate dal palco, gli oratori hanno fatto capire al Mondo martedi mattina la realtà della settantanovesima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Che il tradizionale raduno annuale che vede convergere al Palazzo di Vetro i presidenti e i primi ministri dei 193 paesi membri sarebbe stato quest’anno diverso dai precedenti si sapeva già da tempo. Con due drammatiche guerre in corso, un Consiglio di sicurezza paralizzato dalle divisioni e dall’uso del diritto di veto, i Paesi più poveri piegati dalle conseguenze dei cambiamenti climatici e della incapacità delle istituzioni finanziarie di aiutarli, tutti si attendevano una settimana carica di accuse e di tensioni. E una conferma dell’inabilità dell’organizzazione internazionale di affrontare le sfide del presente. Le attese, è ovvio, sono state in gran parte confermate già dalle prime battute.
Al tempo stesso, forse per la prima volta, proprio la consapevolezza della necessità di un rinnovamento profondo di un’organizzazione per molti versi obsoleta ha fatto emergere una volontà concreta di impegnarsi almeno per affrontare i problemi,anche se la soluzione appare lontana.
Come era prevedibile, al centro dell’attenzione è stato per tutti il peggioramento della situazione ai confini del Libano e il timore di un prossimo allargamento della guerra in Medio Oriente. Sull’argomento, Joe Biden ha preferito non addentrarsi, probabilmente per lasciare spazio a Kamala Harris, ma anche lui ha chiesto espressamente il cessate il fuoco e la creazione di uno stato palestinese. ”La soluzione diplomatica del conflitto israelo – libanese è ancora possibile”, ha detto, prima di aggiungere che ”è tempo che le parti finalizzino i termini dell’intesa per consentire il ritorno degli ostaggi, la sicurezza della frontiera tra Israele e Gaza libera da Hamas e la fine delle sofferenza dei civili di Gaza”.
All’ottimismo del Presidente americano hanno risposto a ruota , dal palco, il Presidente turco Erdogan, che con durezza non ha esitato a paragonare Netanyahu a Hitler, e ha chiesto all”’alleanza dell’umanità” di fermare la sua rete di omicidi”. ”Insieme ai bambini di Gaza, anche il sistema delle Nazioni Unite sta morendo, la verità sta morendo, i valori che l’occidente sostiene di difendere stanno morendo, le speranze dell’umanità di vivere in un mondo più giusto stanno morendo una per unà’, ha detto dal podio il leader turco.
Poco dopo, con parole più caute, il Presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha spiegato che il suo Paese non vuole la guerra e è pronto a riaprire il dialogo per gli accordi sul nucleare. Pur riaffermando la volontà dell’Iran di non entrare in un conflito aperto, anche Pezeshkian non ha però esitato a accusare Israele di terrorismo in Libano.”La responsabilità per tutte le conseguenze ricadrà su quei governi che hanno bloccatogli sforzi globali di fermare questa orribile catastrofè’, è stato il suo messaggio a Biden. In attesa dell’arrivo di Netanyahu, che è stato rinviato a venerdi, a rendere l’atmosfera sia pur di poco meno tesa sono state le affermazioni dell’ ambasciatore israeliano Danon, che parlando con in giornalisti ha spiegato che Israele non vuole un conflitto di terra.
Da parte sua , un attivissimo Zelensky, che ha alternato i suoi discorsi al Consiglio di Sicurezza e in Assemblea Generale a una girandola di incontri personali con i leader di tutto il mondo, compresa Giorgia Meloni, non ha lasciato dimenticare a nessuno il dramma della guerra in Ucraina e i suoi sforzi per arrivare alla pace. Parlando mercoledi mattina di fronte a un’Assemblea Generale affollata, ma in assenza di una controparte russa, ha ricordato a tutti i rischi che un attacco alla centrale nucleare di Zaporizhzhia comporterebbe per tutti i paesi vicini e le sofferenze che gli attacchi alle centrali elettriche e idroelettriche infliggeranno alla sua popolazione con l’arrivo dell’inverno. ”Vogliamo una pace giustà’,ha chieso più volte, prima di ringraziare tutti i paesi che lo hanno appoggiato in questi anni di guerra.
In una New York bloccata da un traffico ancor peggiore di quello degli anni scorsi e nei corridoi di un Palazzo di Vetro ostruiti da mille controlli di Sicurezza, però, a dare il segnale di un cambiamento possibilmente positivo dell’organizzazione internazionale sono stati soprattutto gli eventi collaterali. Al di là del fiume di parole in gran parte già pronunciate in passato, solo per fare un esempio, il Patto per il Futuro, l’ambizioso programma di cambiamenti discusso per mesi e approvato ufficialmente dall’Assemblea Generale, ha dato la parola al Palazzo di Vetro alle delegazioni dei giovani provenienti da tutto il mondo e ai rappresentanti della società civile. Negli incontri laterali , si è parlato del dramma delle donne afgane con l’aiuto dell’attrice Meryl Streep, nelle riunioni del G7 presiedute dall’Italia si è parlato di emigrazione e di riforme del sistema finanziario, nelle sale di conferenza informatici e politici hanno discusso su come rendere sicura e utile per tutti l’Intelligenza artificiale.
E soprattutto, dal podio come negli incontri privati, si è cominciato a discutere per la prima volta seriamente di una possibile riforma del Consiglio di Sicurezza. Le opinioni restano diverse, con il gruppo di Uniting for Consensus capitanato dall’Italia contrario al possibile ampliamento del numero dei membri permanenti promosso tra gli altri anche dagli Stati Uniti, e gli attuali membri permanenti ben decisi a difendere il loro diritto di veto. Qualcosa, insomma, si muove, anche se la soluzione resta lontana. ”Quando sono entrato in carica l’argomento era tabù ”,ha ammesso con un sorriso Antonio Guterres, ”adesso almeno se ne parla…”