Il missile sulla Polonia colpisce anche il G20 di Bali (aggiornato)

Trovato con fatica un accordo sulla guerra ucraina al vertice delle economie più impostanti del pianeta riunite in Indonesia per il 17mo summit dei Venti Grandi. La dichiarazione ufficiale condanna con forza il conflitto

di Emanuele Giordana

Come se già non fosse stato molto complicato trovare tra i leader del G20 riunti a Bali una formula per una dichiarazione finale congiunta che avesse un’univoca posizione sulla guerra ucraina, le esplosioni nella notte di ieri in Polonia non hanno fatto che rendere il quadro più complicato. Ciò non di meno si è trovato un accordo per cui il G20 “deplora” la guerra e i leader del Gruppo dei 20 membri (19 nazioni più la Ue) hanno condannato “con la massima fermezza possibile” l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Questo quello che  emerge dal comunicato ufficiale.

I leader hanno ribadito che la guerra in corso in Ucraina ha inoltre un impatto negativo sulla sicurezza alimentare ed energetica e che ha causato un urto in tutto il Mondo. La dichiarazione del G20 riconosce altresì le diverse opinioni dei membri sulla guerra del Cremlino contro l’Ucraina e la dichiarazione riflette le tensioni tra i membri. Quindi se nella dichiarazione finale si ribadisce il punto sull’aggressione il testo dice anche che ci sono “altri punti di vista e diverse valutazioni della situazione” e delle sanzioni. Un salvataggio per evitare la fine del G20. I leader di Canada, Consiglio europeo, Commissione europea, Francia, Germania, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti hanno condannato a margine l’ultima ondata di attacchi missilistici russi contro città e infrastrutture civili ucraine e hanno discusso della vicenda polacca ancora oscura sull’attribuzione dell’attacco missilistico (da dove proveniva? Non era piuttosto una caduta di detriti di missili? Veniva da  reazioni ucraine?).

Gli indonesiani si sono spesi molto per non far fallire il vertice. Durante il discorso di apertura del summit di Bali, ieri il Presidente indonesiano Joko Widodo ha invitato gli Stati membri a porre fine al conflitto implorando la comunità internazionale di “fermare la guerra”. “Non abbiamo altra scelta – ha detto – la collaborazione è necessaria per salvare il Mondo e il G20 deve essere il catalizzatore per una ripresa economica inclusiva. Non dobbiamo dividere il mondo in parti. Non dobbiamo permettere che il mondo cada in un’altra Guerra Fredda”.

Si parla anche di finanza e cambiamento climatico: I leader del G20 hanno concordato di proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5°C, confermando il rispetto dell’obiettivo di temperatura previsto dall’accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici. Ciò potrebbe stimolare i negoziati al vertice sul clima COP27 delle Nazioni Unite in Egitto, dove alcuni negoziatori temevano che il G20 non sarebbe riuscito a sostenere l’obiettivo di 1,5°C. I gruppi della società civile però hanno criticato la bozza di dichiarazione del G20 per non aver dato indicazioni contro la fame, non aver rafforzato gli sforzi per finanziare lo sviluppo e aver perso di vista il precedente impegno di 100 miliardi di dollari in finanziamenti per il clima entro il 2023.

Joko “Jokowi” Widodo in una foto ufficiale

A scorrere a lista dei Paesi del G20 si fa in fretta a capire chi sta da una parte o dall’altra o in un gruppo di indecisi. E se la maggioranza si poteva raggiungere grazie alla fermezza di dieci Paesi (di cui uno è in realtà un gruppo:l’Unione Europea) e che sono  Australia, Canada, Usa, Francia, Germania, Italia, Gran Bretagna, Giappone e Sud Corea, basta guardare gli altri membri per capire che la cosa si è giocata sul filo del rasoio: Cina, India, Arabia Saudita, Sudafrica, Turchia, Argentina, Messico, Indonesia, Brasile. In questo secondo gruppo, dove il primo poteva trovare uno o due alleati, c’è un nucleo fortemente contrario a prendere una posizione netta di condanna dell’invasione. E’ un gruppo dove è forte l’influenza economica e politica sia dei russi sia dei cinesi. Eppoi c’è l’India tra i contrari, che è tra l’altro la prossima erede della presidenza G20 (oggi il passaggio di consegne). Infine c’è l’Indonesia che, seppur non esitò a condannare l’invasione del 24 febbraio, adesso si è trovata nella parte della mediatrice. Tutto in salita benché proprio il rappresentante della Ue abbia lodato gli sforzi di Giacarta per mettere assieme tutti i protagonisti per una  dichiarazione congiunta.

Qualche osservatore ne ha già approfittato per decretare la morte del G20, altri per prospettare un G19. Il fatto è che comunque il consesso non rappresenta solo 19 nazioni ma, per dirla in soldoni e numeri, il G20 è composto dalla maggior parte delle più grandi economie del mondo, sia nel comparto delle nazioni industrializzate sia in quello delle economie emergenti. Rappresenta qualcosa come il l’80% del Prodotto mondiale lordo e oltre il 70% del commercio internazionale. Ma infine, se la gente ha ancora un valore, rappresenta due terzi della popolazione del pianeta ed è un bel esercizio vedere in quale dei due sottogruppi vive la maggior parte di questi cittadini della terra. 

Intanto, il Presidente indonesiano Jokowi, che molto ha investito in questo summit, potrà anche ben dire che il vertice ha portato a casa una relazione tra Cina e Stati Uniti assai più distesa di quanto non fosse nell’era Trump, nel dopo invasione dell’Ucraina o nel recente dopo-Pelosi a Taiwan, la visita della speaker del Congresso americano che, qualche mese fa, ha prodotto più che scintille. Xi e Biden si sono infatti incontrati lunedi prima del vertice balinese e l’incontro è stato positivo, un segnale di distensione ancorché Cina e Usa abbiano tenuto il punto su Taiwan su cui però Biden ha ribadito che la visione americana resta quella di “una sola Cina” e che Washington vuole comunque evitare una nuova Guerra fredda con Pechino. Un risultato importante non solo per Jokowi.

In copertina: Lavrov al G20. Nel testo un momento del summit

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