di Maurizio Sacchi
In Perù cresce la tensione mentre il Tribunale elettorale nazionale non ufficializza ancora l’esito delle elezioni presidenziali del 27 di giugno. Una grande mobilitazione ha portato dalle aree rurali alla capitale Lima migliaia di manifestanti, che si sono radunati davanti alla sede dell’organismo giudiziario incaricato di legalizzare il risultato del voto, che vede Pedro Castillo, l’ex maestro di sinistra in testa per poche migliaia di voti sulla conservatrice Keiki Fujimori, figlia dell’ex presidente Alberto.
Un parlamentare uscente del partito della Fujimori ha dichiarato che se il tribunale non terminerà di esaminare le centinaia di esposti da parte del fujimorismo entro il 28 di luglio – data prevista per l’insediamento del nuovo presidente – il Presidente del Congresso dovrebbe assumere temporalmente il potere e convocare nuove elezioni. Ma da parte dei sostenitori di Castillo si risponde che una simile mossa non trovi alcun appiglio costituzionale, e un rappresentante delle rondas campesinas de Puña, da cui proviene Castillo ha dichiarato: “Siamo venuti perché vogliamo la verità, [e il] risultato [finale] delle elezioni. Veniamo da molto lontano, pagandoci il viaggio,(…) per difendere il nostro voto”.
Ha destato scandalo intanto la rivelazione di due telefonate dal carcere di Vladimiro Montesinos, ex eminenza grigia di Alberto Fujimori, a un colonnello in pensione dell’esercito peruviano. Montesinos si lamenta del fatto che l’entourage de “la chica” non sia stato capace di “sistemare le cose” per scippare la vittoria a Castillo. Nella telefonata, dalla linea fissa della prigione di massima sicurezza in cui è rinchiuso per un gran numero di delitti, l’ex capo dei servizi spiega come raggiungere e influenzare i giudici del Tribunale elettorale che studiano le richieste di annullamento depositate dalla Fujimori. E aggiunge: “Cosa ci guadagno io? Niente. Semplicemente sto cercando di aiutare, perchè se no siete fottuti: la chica finisce in galera. Questaè la situazione”. Sulla avversaria di Castillo pende infatti una serie di accuse, dal lavaggio di denaro al ricevimento illegale di 1 milione e 200mila $ dall’impresa di costruzione brasiliana Odebrecht per finanziare due precedenti campagne elettorali.
Il Perù e quindi spaccato in due. E non solo politicamente. Ha destato scalpore la presa di posizione del premio nobel peruviano Mario Vargas Llosa, che ha definito la Fujimori “il male minore”, sostenendo che, in caso di vittoria di Castillo, si rischiava che queste fossero “le ultime elezioni democratiche”. Ma la spaccatura più drammatica è sociale ed economica, visto che, malgrado le grandi risorse naturali del Paese, primo fra tutti il rame, il 30 percento della popolazione non arriva ai 100 dollari al mese.
Carolina Trivelli già ministra dello Sviluppo e dell’inclusione sociale, nega che si tratti delle conseguenze della pandemia.. “La nostra capacità di ridurre la povertà si va indebolendo già da anni”.La causa principale, seciondo Hugo Ñopo, economista del peruviano Grupo de Análisis para el Desarrollo, sta nella “disfunzionalità” del mercato del lavoro, che si traduce nell’incapacità di traformare una “bonanza macro in benessere micro”. “In Perú quattro persone su dieci sono lavoratori autonomi, e questa, che a lungo è stata vista come una soluzione romantica, alla peruviana, ha come conseguenza una produttività molto bassa”. Un arte di arrangiarsi che va dalla produzione domestica di biscotti, alla vendita ambulante di gelati, al fattorinaggio. Il risultato è che la produttività di queste micromprese è 16 volte inferiore a quella delle imprese con più di 100 lavoratori.
Si tratta di un altro esempio della crisi del sistema neoliberista, in America del sud, sopratutto nella sua incapacità di rimediare alle diseguaglianze, e che spiega sia il successo di Castillo, che l’arroccarsi della classe dirigente, che vede in ogni successo della nuova onda di proteste e di proposte l’ombra di regimi di tipo venezuelano, con le consuete accuse di antidemocraticità e rischio di dittatura. Ma ora lo scandalo Montesinos, a suo tempo una versione andina di Licio Gelli o di Berja, rende assai poco credibile la pretesa di vendere la Fujimori come paladina della legalità e della democrazia. Intanto il Perù e il mondo attendono ancora che il Perù abbia un presidente.
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