Il protagonismo dell’Asia (2)

Andrea Berrini racconta le grandi metropoli in un nuovo libro che ha al centro il grande Continente

Per questa seconda puntata sul Protagonismo dell’Asia, abbiamo chiesto ad Andrea Berrini, autore ed editore da poco uscito col suo nuovo libro Metropoli d’Asia, cosa lo aveva spinto a indagare questo nuovo protagonismo di un Continente percepito come povero e miserando, Terzo Mondo al massimo “in via di sviluppo”. Ora impostosi all’attenzione mondiale con un diverso impetuoso sviluppo

di Andrea Berrini

Fatto sta che un bel pezzo di Mondo che noi definivamo ancora come Terzo Mondo solo pochi anni fa, oggi si erge davanti ai nostri occhi con una posa nuova: l’Asia che cresce, sviluppa il suo Pil, costruisce città prima inimmaginabili, popolate ormai da un ceto medio simile in tutto e per tutto al nostro per consumi, stili di vita, aspettative, a volte anche agghiaccianti ottusità. L’Asia dell’Est e del Sud l’ho percorsa per quindici anni come editore di Metropoli d’Asia, folgorato a Mumbai dalla proliferazione di librerie che esponevano una narrativa in lingua inglese fiorente, variegata, la miglior porta su questo nuovo universo urbano che diventò in breve l’oggetto del mio interesse: per me, un mondo nuovo, in impetuoso movimento tanto quanto il nostro appare impantanato.

Chi per anni si è occupato variamente di Sud del Mondo e del rapporto di questo con noi del Nord, in quell’Asia si trova di fronte a una trasformazione straniante. Scriveva Galeano che con l’argento portato via dal Cerro Potosì si potrebbe costruire un ponte da La Paz a Madrid: oggi lì, la relazione bassamente estrattiva tra le ex potenze coloniali e i sudditi scolora. Si impone quella, piuttosto, tutta compresa entro i confini nazionali, tra le grandi metropoli e le proprie periferie. Chi si occupava di cooperazione allo sviluppo scopre che in vaste aree del Terzo Mondo non di sviluppo c’è necessità, ma di redistribuzione dello sviluppo stesso. Lo sviluppo è là. Comincia perfino a intravvedersi una relazione di dipendenza del Primo Mondo nei confronti di chi ci produce quel che noi consumiamo, e che ci vende le sue materie prime noi speriamo a prezzi contenuti. E chi semplicemente in quei Paesi un tempo viaggiava cercando un altrove, segnala il “non è più come una volta” (it is not like once), ritrovandosi attonito e perplesso.

È storia nota, questo mutamento epocale, anzi Storia. Certo non dovunque nel globo è così, assolutamente. Di sicuro questa è però la vicenda recente di quel pezzo d’Asia, e io ne ero affascinato. L’Altro che si incontra fuori dai confini ristretti dell’Occidente non è più solo un Altro diverso da noi per censo e potere – potenza, vien da dire – ma lì si trasfigura in un concorrente insidioso, che ci guarda diritto negli occhi, lo sguardo alla nostra altezza, e ci mette in discussione tanto quanto noi ci siamo per due tre secoli divertiti a interrogarci su di lui guardandolo dall’alto in basso. Di più: si percepisce quanto loro, gli asiatici, abbiano davanti a sé futuro, dispiegamento di abilità, modificazione, miglioramento, speranza. Così io ho sentito incontrandole, queste persone, nel decennio successivo alla crisi del 2008, quando in Italia si imponeva invece il tempo del lavoro precario, della fatica di vivere, della recriminazione, dei più giovani che domandavano a noi più vecchi cosa mai avessimo lasciato loro in dote.

Con la casa editrice il raccolto è stato abbondante, utile, intrigante. Ho portato in Italia scritture che sarebbero altrimenti rimaste ignote, a qualcuno ho aperto la strada verso l’editoria di prima fascia e il mercato globale. Ora ho voluto in un libro mio (che EDT ha voluto intitolare con lo stesso nome della mia casa editrice) raccontare cinque città, Pechino, Kuala Lumpur, Bombay/Mumbai, Hong Kong, Singapore, sottolineandone le consonanze e facendone emergere i tratti distintivi. Le ho percorse sulla pagina insieme ai miei scrittori, ascoltando le loro voci, studiando le loro movenze. Volti, chiacchiere, magari bevute, esplorazioni notturne, aperture inattese e vicoli ciechi. La Pechino che difende a denti stretti le sue abitudini popolari a dispetto di un’espansione su anelli concentrici che riverbera tanta nostra fantascienza mentre costruisce la propria, la Bombay – così la chiamano i miei amici – dove nessun ricco può emendarsi dalla povertà che lo circonda, e che crea utili corti circuiti nella raggiunta quiete di esistenze da ceto medio, la Singapore immaginifica e quasi fantasy, impegnata a trasformare sé stessa in circo per le masse e must del nuovo turismo continentale, Hong Kong riunificata alla madrepatria cinese, che si rivolta come una bestia ferita contro la chiusura degli spazi di espressione e di libertà, la meno nota Kuala Lumpur dove a dispetto di una sharia light si costituisce un sottobosco underground di musicisti blues.

Ho conosciuto queste città da espatriato, residente in visita, qualcuna in pochi mesi, altre in pochi anni, e penso che la mia sorpresa, lo stupore nell’osservarle, sia lente utile a cominciare a comprenderle. Lo scarto creatosi nell’incontro con questi Altri, amici e conoscenti occasionali, l’occasione di confrontarsi, reciprocamente farsi da specchio, ha prodotto in qualche modo uno sguardo ibrido, sghembo, che credo possa aprire prospettive. E costruire nuove, più attuali, domande.

La prima puntata qui

In copertina: Abraham Ortelius, Asiae Nova Descriptio, 1595

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