“Il Ruanda attacca la Rdc tramite il movimento M23”

Accuse arrivano dal Governo di Kinshasa e dall'Europarlamento, mentre Kigali nega il suo coinvolgimento nella violenza del Nord Kivu

Il sangue continua a scorrere nel Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo. L’ultima strage è del 29 novembre, quando, almeno 50 civili sono stati uccisi a Kishishe nel territorio di Rutshuru, a 70 km da Goma. Il governo della Rdc ha accusato i ribelli dell’M23 (Movimento 23 Marzo), che però negano di aver perpetrato il massacro. Kinshasa punta il dito contro il Ruanda, accusato di sostenere, armare e persino combattere al fianco dei guerriglieri. Tutte cose che Kigali nega.

Dopo la strage il governo ha indetto tre giorni di lutto nazionale dal 3 al 5 dicembre. Nella giornata di domenica 4 dicembre, i vescovi di tutte le diocesi congolesi hanno organizzato una processione per porre l’attenzione sul deterioramento della situazione della sicurezza nel Paese in generale e nell’est in particolare, e per porre fine “alla balcanizzazione della Rdc”, ovvero quel processo di smembramento latente del Paese operato da gruppi armati appoggiati dall’esterno. “Non balcanizziamo la Rsc, alziamoci tutti per salvaguardare l’integrità territoriale del nostro Paese” hanno detto i Vescovi. La prevista marcia a Goma, capoluogo del Nord Kivu, è stata però annullata per evitare “possibili infiltrazioni”.

Durante la manifestazione, il cui obiettivo era in particolare quello di denunciare le violenze del movimento terroristico del 23 marzo che occupa diverse località del Nord Kivu, i manifestanti hanno accusato il silenzio di la comunità internazionale che, secondo loro, rasenta la complicità con le forze di occupazione che violano la sovranità e l’integrità territoriale della Rdc. Secondo i manifestanti, tra gli Stati “predatori delle risorse naturali” vi sono Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Belgio. Hanno anche denunciato il comportamento dell’Onu, dell’Ue, dell’Eac (Comunità degli Stati dell’Africa Orientale) che, non starebbero “giocando lealmente”.
“La comunità internazionale mostra un atteggiamento ipocrita e compiacente che rasenta la complicità”, si legge infatti in un comunicato pubblicato dai partecipanti alla manifestazione a Kinshasa, nel quale si chiede alle autorità congolesi una serie di provvedimenti.

Il 1° dicembre nel Sud Kivu, a Bukavu, si era tenuta un’altra manifestazione per la pace, guidata dall’Arcivescovo Francois Xavier Maroy e lo stesso giorno a Kabare si è svolta un’altra marcia pacifica. I manifestanti hanno sfilato dalle rispettive parrocchie per recarsi presso l’ufficio dell’amministratore di Kabare dove è stato letto un memorandum in cui si chiede l’instaurazione della pace e la fine dell’aggressione della Rdc da parte del Ruanda, sotto la copertura dell’M23. Il gruppo guerrigliero M23 ha preso il controllo di diverse località nei territori di Rutshuru e Nyiragongo, nella provincia del Nord Kivu. 

L’accusa di un’interferenza armata del Ruanda tramite l’M23 viene sostenuta da più parti. In un discorso all’Europarlamento, Marc Botenga del gruppo Gue/Ngl, denunciava il 23 novembre come fosse “dimostrato da anni, anche dalle Nazioni Unite, che il governo ruandese sostiene i ribelli dell’M23 in Ruanda. Ribelli che seminano terrore e morte nella Repubblica Democratica del Congo, soprattutto nell’est, dove questo conflitto ha già causato milioni di vittime. Conosciamo quindi la piena responsabilità del governo ruandese”.

“Quindi cosa fa l’Unione Europea?” si chiedeva l’europarlamentare. “Ci aspetteremmo sanzioni. Questa è la risposta che l’Unione europea ha spesso quando vediamo questo tipo di azione da un Paese contro un altro. Ma no, no. I governi europei stanno ora decidendo di rafforzare la loro cooperazione militare con il Ruanda. La Francia, in particolare, annuncia un rafforzamento della sua cooperazione militare. L’Unione Europea darà 20milioni al Ruanda per la sua partecipazione in Mozambico. E gli Stati Uniti sono un partner molto importante del Ruanda”.

Diversa è invece la questione se è al Congo che si deve vendere armi “Se uno Stato vuole vendere armi alla Repubblica Democratica del Congo, deve avvisare le Nazioni Unite, che ovviamente rallentano o addirittura impediscono la consegna di armi a un Paese troppo spesso attaccato. Questa politica – dove diciamo a parole di rispettare la sovranità congolese, ma in realtà la ostacola ostacoliamo e la miniamo – è inaccettabile ”.

“La violenza è ormai al colmo – racconta all’Atlante delle guerre padre Ippolito Tshibuabua – nel totale silenzio dei mass media occidentali. I giochi per il controllo delle materie prime utili nella transizione energetica si stanno svolgendo sul territorio congolese. Le multinazionali non guardano in faccia a nessuno. Nemmeno il numero di morti così alto li ferma. Il tutto con la complicità dell’Occidente”.

“La prima grande necessità della popolazione è di vivere in pace – continua padre Ippolito – I congolesi lo hanno sempre espresso in modo chiaro in tutti questi anni. Noi non ci arrendiamo. Organizzeremo altre azioni di pace”. Da oltre venticinque anni la guerra nell’Est del Paese è realtà, ma in questa fase sembra esserci qualcosa di diverso. “Abbiamo vissuto momenti drammatici ma questo ha qualcosa di particolare a causa della scoperta del sostegno occidentale alla violenza che il Ruanda scatena sul Congo”.

di Red. Al/Pi.

*In copertina un momento della manifestazione dei vescovi del 4 dicembre 2022

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