Il Sudamerica in piazza

Anche Colombia e  Haiti si uniscono alla collana di Paesi latinoamericani che protestano. La situazione in Cile e Bolivia

di Maurizio Sacchi

La Colombia si unisce alla collana di Paesi latinoamericani in protesta. Per il terzo giorno consecutivo, e questa domenica, si sono svolte massicce manifestazioni in tutto il Paese,  per manifestare contro il governo di Iván Duque. Migliaia di persone si sono radunate nelle piazze di Bogotá e nelle città principali. I militari sono stati chiamati a presidiare le piazze e a affiancare la polizia, criticata per i propri metodi da diverse agenzie internazionali. Gli agenti antisommossa hanno sparato bombe lacrimogene questo sabato in varie parti della città. Un ragazzo di 18 anni ne ha ricevuta una in pieno capo, ed è ora ricoverato  in gravi condizioni. Le immagini dello sparo a Dylan Cruz e la sua caduta sul marciapiede hanno scandalizzato l’intera Colombia, anche perché le manifestazioni si erano tutte svolte pacificamente, al suono delle pentole percosse dai manifestanti: il famoso cacerolazo che è divenuto il motivo ricorrente, dal Cile alla Colombia, delle proteste che infiammano il Sudamerica.

Diseguaglianza sociale estrema, corruzione, violazione sistematica dei diritti umani da parte della polizia, e morti fra manifestanti anche pacifici sono i punti in comune di questa ondata di dissenso che si trasmette di Paese in Paese. Come nel caso del Cile, il presidente Duque ha cercato di frenare la piazza convocando un dialogo nazionale per affrontare i temi che originano lo scontento. Convocati sono soprattutto i sindaci e gli amministratori locali, tutti usciti dalle elezioni amministrative di ottobre. Ma proprio il processo elettorale ha mostrato quanto fondate siano le proteste tuttora in corso.

Solo dal 27 luglio al 15 settembre, la Missione di osservazione elettorale colombiana ha registrato 53 candidati vittime di violenza politica: 39 sono stati minacciati, 2 rapiti, 5 vittime di attacchi e 7 uccisi. Karina García sperava di diventare la prima donna sindaco di Suárez. lei, sua madre e altri quattro leader sociali e politici del dipartimento  del Cauca. Prima di morire con sua madre, crivellate di pallottole, la Garcia aveva denunciato che la “sporca guerra” lanciata contro di lei  poteva rivelarsi fatale.

Sia il segretario generale dell’Onu Guterres, sia la missione diplomatica dell’Unione europea in Colombia hanno riconosciuto la natura pacifica delle manifestazioni, e hanno lanciato l’allarme sull’uso della violenza da parte di polizia ed esercito. 

La protesta in Cile

Qual’è lo stato delle cose in Cile? “Abbiamo raggiunto accordi con l’opposizione e la società civile che molti credevano impossibili”, ha affermato il presidente  Piñera dopo che le proteste, e la loro violenta repressione, che ha lasciato sul terreno 24 vittime fra i manifestanti, lo avevano obbligato a misure che fermassero la rivolta. Tra le misure concordate vi è la riduzione della metà del prezzo del trasporto pubblico per gli over 65 e l’aumento delle pensioni per i settori vulnerabili, che aumenteranno gradualmente fino a raggiungere un aumento del 50% nel 2022, a tutto vantaggio di un milione e mezzo di persone. Nel frattempo, il bilancio sanitario è aumentato dell’11%, fino a raggiungere il 4,6% del prodotto interno lordo (PIL), il che lascia comunque il Cile al di sotto della media dei paesi OCSE, che assegnano intorno al 6% alla sanità.

Il presidente, in un incontro a La Moneda con corrispondenti stranieri, ha dovuto fare i conti con il rapporto di Amnesty International, che giovedì ha denunciato che “l’intenzione delle forze di sicurezza cilene è chiara: ferire coloro che manifestano per scoraggiare la protesta” . Piñera ha affermato che “è possibile che in alcuni casi” non siano stati rispettati i protocolli per l’uso della forza. “Tutto ciò sarà indagato dalla Procura e sanzionato dalle corti di giustizia, perché è così che funzionano una democrazia e uno stato di diritto”.

Emergenza Bolivia

Stato di diritto in grave pericolo in Bolivia, dove la autoproclamata presidente Jeanine Áñez ha emesso un ordine esecutivo il 15 novembre, esonerando i militari dalle responsabilità criminali legate all’uso della forza. Áñez ha detto che l’ormai ex presidente Morales dovrà affrontare un’azione penale se tornerà in Bolivia. E ha anche abbandonato a malincuore l’idea, espressa inizialmente, di vietare il partito di Evo Morales, il  MAS – che è senza dubbio ancora la più grande e più popolare forza politica della Bolivia – dalla partecipazione alle elezioni future. Infine il Congresso boliviano ha approvato un disegno di legge che consente nuove elezioni e annulla i risultati di quelle  del 20 ottobre anche se la presidente ad interim  deve ancora firmare per farlo entrare in vigore.

Quasi due settimane dopo che il primo presidente indigeno della Bolivia è stato costretto all’esilio in Messico, i suoi seguaci si stanno intanto mobilitando. Il loro piano – che molti credono sia stato tracciato da Morales dall’esilio in Messico – prevede l’utilizzo di centinaia di blocchi stradali per impedire che carburante e cibo raggiungano La Paz, e forzare il governo di fatto a concessioni- forse persino il ritorno di Morales. Enormi code alle panetterie e ai distributori di benzina di La Paz suggeriscono che la loro strategia sta riscuotendo un certo successo.

Il malcontento ad Haiti

L’ultimo fuoco ad accendersi in questa catena di incendi sociali è Haiti. Anche qui, la corruzione e la diseguaglianza sono alla base dell’esplodere del malcontento. Il presidente Moïse ha tentato di insediare un primo ministro inesperto, Fritz-William Michel, che è risultato  implicato in  clamorosi casi di corruzione, tra cui l’aver usato fondi governativi per acquistare migliaia di capre a prezzi esorbitanti da una delle sue stesse società.

Nel frattempo la disoccupazione supera il 70%, il reddito annuo pro capite a $ 350 e l’inflazione è al 19%, mentre l’economia si regge solo grazie ai 2,7 miliardi di dollari all’anno di rimesse degli emigrati, che rappresentano un terzo del PIL. Il commercio è controllato in gran parte da dominicani, e le risorse del Paese sono nelle mani di poche famiglie . Ma le proteste in corso sono state causate dall’esaurimento del carburante. I governi successivi hanno mantenuto basso il prezzo ottenendo prima le forniture dal Venezuela, poi attraverso i sussidi. Ma lo stato non può più pagare – e con fatture in sospeso di $ 63 milioni, le compagnie petrolifere hanno sospeso le forniture. I prezzi aumentano e specialmente il costo del cibo si va facendo insostenibile.

In copertina le manifestazioni a Bogotà in un fotogramma tratto da un video del Guardian. Nell’immagine interna, un elicottero della polizia colombiana in azione. Sotto Evo Morales

 

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