Intervista a Raffaele Crocco su nannimagazine.it

Conflitti nel mondo: Raffaele Crocco, “la Terra è in guerra permanente”

Trentacinque scontri aperti e dieci situazioni limite, per un totale di 45 temibili focolai. La terza edizione dell’Atlante geopolitico redatto da giornalisti ‘militanti’ narra ai giovani il mondo in cui vivono con proiezioni sul prossimo futuro.

Titolo: Giovane guerrigliere in Somalia
Fonte: Immagine dal web

“Quando gli elefanti combattono è sempre l’erba a rimanereschiacciata”, recita un saggio proverbio africano. Lo sanno bene i redattori dellla terza edizione dell’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, presentato lo scorso dicembre, che ogni anno fa il punto sulla situazione geopolitica ed economica del pianeta. “Attualmente contiamo 45 aree in allarme rosso – racconta a NanniMagazine.it Raffaele Crocco, il giornalista e scrittore che ha ideato l’annuario insieme all’associaziione ’46° parallelo e alla casa editrice Terra Nostra – e farne le spese sono sempre i civili, siano esse vittime o profughi”.

Per fare luce sulle guerre meno ‘celebri’ eppure attualmente incorso, evidenziare le situazioni-limite in cui versano alcuni territori e soprattutto far conoscere ai giovani che tipo di interessi si celano dietro ogni conflitto, il giornalista trentino ha ideato questo Atlante annuale e organizza frequenti incontri nelle scuole per narrare le vicende di cronaca riportate nel testo. In questa terza edizione, pubblicata in collaborazione con l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR), è presente una sezione speciale dedicata alla cosiddetta ‘Primavera Araba’, ovvero “l’insieme di rivolte in Medio Oriente e Nord Africa su cui l’informazione italiana ha spesso oscillato tra immotivati allarmismi e interpretazioni distorte”, ha precisato il giornalista.

Raffaele Crocco, qual è la situazione mondiale fotografata in questa nuova edizione dell’Atlante rispetto a un anno fa?
“Alcune situazioni conflittuali sono mutate, altre sono rimaste uguali. Resta la morale, ben triste, che il Pianeta è in una situazione di guerra permanente. Contiamo attualmente 35 conflitti nel mondo più 10 situazioni limite, per un totale di 45 aree della Terra in allarme rosso. Dei 193 Paesi membri dell’Onu, uno su cinque è in conflitto. A livello geopolitico, inoltre, si sta lentamente delineando una situazione che contrasta con la visione stereotipata del Nord del mondo, più ricco, che sfrutta e sovrasta il Sud, più povero, innescando di conseguenza una serie di guerre. Non è più esattamente così, a ben guardare, sebbene persista una cattiva distribuzione dei diritti e delle risorse nel Pianeta, stanno facendosi largo dei nuovi ‘soggetti’, provenienti dal Sud del mondo, che attuano politiche di controllo dell’economia e prevaricazione uguali a quelle che fino a pochi anni fa erano esclusiva pertinenza del Nord del mondo. Mi riferisco a Paesi come Russia, Cina, Brasile, Sudafrica, India. Quindi la novità degli ultimi anni è la presenza di nuove potenze che premono sullo scacchiere internazionale scatenando anche conflitti, sempre da parte di economie forti (ma emergenti) sulle deboli. In poche parole, si sta delineando una situazione di conflitto Sud sul Sud”.


[Ribelli libici. Fotografia: Tyler Hicks]

Le guerre attuali, per di più, sembrano non avere mai fine…cosa è cambiato rispetto ai conflitti dei secoli scorsi?
“Ogni guerra è legata a precise ragioni economiche. La differenza tra i conflitti antichi e quelli moderni è che un tempo le nazioni ambivano a conquistare e governare direttamente una data zona, impiegando l’esercito per conquistare il territorio e le autorità civili e militari per controllare la nuova colonia. Oggi non è più così, alla base dei conflitti resta ben salda la ragione economica, ma le modalità di azione sono diverse: il controllo su un territorio si attua mediante governi e fazioni amiche, complici nelle politiche economiche e finanziarie, c’è più diplomazia, se così possiamo dire”.

Eppure, i più importanti conflitti degli ultimi anni sembravano mossi da fattori ideologici e religiosi, è uno specchietto per le allodole?
“Scavando sotto la superficie di un conflitto si scopre sempre che la causa religiosa o culturale che sembra animarlo in realtà è solo la ‘benzina’ utile ad alimentare il conflitto, o la ragione utile per trovare persone disponibili a sacrificarsi in nome di una volontà superiore, uccidere o farsi saltare in aria. Ma la ragione vera è sempre il controllo economico e finanziario di una data area e delle sue risorse”.

Nella creazione dell’Atlante siete rimasti neutrali, sia nel parlare delle guerre che nel parlare delle missioni umanitarie da parte di altre nazioni. Come mai questa scelta?
“Perché vogliamo che ogni lettore decida liberamente, che attui un esercizio di cittadinanza libera e libero pensiero. L’Atlante è stato redatto da giornalisti che hanno scelto di riportare i fatti ‘nudi e crudi’ all’attenzione del lettore, senza commenti o prese di posizione, che non competono al vero cronista, cioè colui che prende nota dei fatti così come si sviluppano davanti ai suoi occhi. Come diceva la giornalista Anna Politkovskaja, non si deve rendere un fatto più bello o più brutto, ma semplicemente riportarlo. La cronaca neutra di qualsiasi conflitto, d’altro canto, basta da sola a far comprendere quanto sia fonte di sofferenze indicibili. Abbiamo inoltre scelto di non scrivere ‘missione di pace’ o ‘missione umanitaria’, ma semplicemente missione militare. Anche puntare il dito contro uno soltanto dei due contendenti impegnati in un conflitto è spesso arbitrario, non è affatto semplice distinguere i buoni dai cattivi, è molto più utile, invece, spostare l’attenzione sui veri protagonisti della guerra, che sono le vittime civili e i profughi, costretti a fuggire alla ricerca disperata di un futuro migliore”.

L’Italia che ruolo sta avendo nello scacchiere dei conflitti mondiali?
“Il nostro Paese ha uno strano ruolo: ha deciso di essere ben presente nello scenario bellico internazionale ed è infatti una delle nazioni maggiormente impegnate in fatto di missioni militari all’estero, quasi sempre sotto l’egida delle Nazioni Unite, ma se analizziamo la questione in termini di geopolitica non se ne comprende il motivo, dato che economicamente non ha ottenuto guadagni di nessun genere né riconoscimenti in ambito internazionale, e intanto però, queste missioni all’estero costano annualmente allo Stato 2 miliardi di euro, che in tempi di crisi economica suona come uno spreco”.

Scopo di questo Atlante è anche quello di essere letto dai giovani, in che modo vi siete mossi per questo?
“Organizziamo numerosi convegni nelle scuole con l’obiettivo di raccontare ai ragazzi ciò che accade nel mondo, narrare a un giovane cos’è oggi una guerra è anche lo scopo primario dell’associazione ’46° parallelo’, che si occupa di contattate gli enti comunali proponendo l’acquisto dell’Atlante per poi organizzare degli incontri nelle scuole. Finora abbiamo narrato a centinaia di studenti le vicende di cronaca riportate nell’Atlante e l’interesse suscitato è davvero notevole. La maggioranza dei giovani ha un’idea vaga e impecisa di cosa accade nel mondo a livello geopolitico ed economico, anche perché il programma di storia dei licei non prevede l’attualità, e questo è un male. Come è un male aver escluso lo studio della geografia dalle scuole superiori, importantissima per conoscere ogni zona della Terra e di conseguenza scoprire altre culture”.


[Un accampamento di rifugiati Kurdi]

Tornando allo scacchiere geopolitico mondiale, qual è la situazione in Iraq, ora che non c’è più occupazione militare?
“La situazione resta molto difficile: se l’obiettivo delle forze militari attive in zona fino a qualche mese fa era quello di liberare e democratizzare un Paese, possiamo dire che il fallimento è stato totale. La nazione si sta di fatto disgregando, le lotte interne sono ferocissime, e non credo che siano cessati o cesseranno i conflitti in Iraq solo perché le forze alleate se ne sono andate. Anzi. Probabilmente la situazione è destinata a peggiorare”.

E in Europa, che ha vissuto i conflitti in Yougoslavia solo una ventina d’anni fa?
“In Europa vi sono attualmente cinque aree di conflitto, nonostante si tenda a credere che il Vecchio Continente sia ormai pacificato. Parlando degli stati dell’Est, nel 2013 la Croazia entrerà nell’Unione Europea, dopo aver risolto i suoi conflitti di confine con la Slovenia; anche la Serbia ha chiesto ingresso ma non lo ha ottenuto, almeno per il momento. In Bosnia persistono  problemi seri, la situazione è tesa ma il disagio cova sotto le ceneri. Il Kosovo è un punto ‘caldo’ e non a caso sono ancora presenti in loco forze internazionali di interposizione. Il messaggio è: ricordiamoci che anche alle porte di casa nostra vi sono aree di conflitto latente”.

Per quanto riguarda i conflitti in Nordafrica che hanno segnato il 2011, come vi siete regolati in questa edizione dell’Atlante?
“Abbiamo dedicato un’intera sezione all’argomento, una sorta di mini atlante nell’Atlante intitolato ‘Svolta Islam’ e non ‘Primavera Araba’ per due motivi: primo per sottolineare che non è solo una questione nordafricana ma interessa l’universo islamico tutto, e secondo perché nessuno sa se questi cambiamenti saranno davvero una ‘Primavera’, o comunque nessuno sa che tipo di frutti porterà questa nuova situazione. È estremamente interessante esaminare il cambiamento che si è verificato nel mondo arabo e islamico nel corso del 2011, comunque si sviluppino le cose in futuro nulla sarà più come prima, il mondo islamico ha dimostrato di non essere un monolite bianco senza anima, ma un mondo ricco di dinamismo, vita, volontà di cambiamento”.

A livello editoriale avete trovato difficoltà a narrare rigorosamente ogni guerra?
“In realtà nel redigere l’Atlante (e i precedenti) ci siamo divertiti molto, la redazione virtuale si compone di oltre trentacinque collaboratori sparsi qua e là nel mondo, e durante la stesura del testo per lo più ci siamo scambiati email e telefonate. Le discussioni più accese sono nate dalla preferenza di alcuni termini piuttosto che altri, ma l’accordo di fondo ha indotto noi tutti a seguire lo stesso fil rouge, ovvero raccontare i fatti per come si presentano, con precisione e rigore. A un vero cronista non si può chiedere di meglio”.

Trentacinque zone in guerra, dieci sul punto di esserlo, e milioni di profughi in fuga. Non si prospettano tempi facili nel prossimo futuro…
“Anzi, è previsto un aumento dei profughi e dunque dei fenomeni migratori che interesseranno gran parte del globo. Alle guerre e ai conflitti si andranno sommando sempre più i problemi legati al clima, che spingeranno un numero sempre maggiore di persone a lasciare le loro terre e cercare un futuro altrove. Anche per quanto riguarda l’immigrazione c’è un grande bluff di fondo: dimentichiamo sempre che la maggior parte degli spostamenti avvengono da Sud a Sud, i profughi si spostano per lo più in Paesi vicini. La recente guerra in Libia ha creato 1 milione 300mila profughi, in Italia ne sono sbarcati circa 70mila, questo perché un milione duecento mila persone ha trovato rifugio in Egitto e in Tunisia. Sono dati che devono far riflettere”.

Nonostante questo, la massa di profughi giunta sulle nostre coste ha sollevato polemiche, e così negli altri Paesi europei.
“Ma è naturale, non siamo abituati al ‘diverso’ e la storia ce lo insegna. Quando i nostri connazionali, più di un secolo fa, hanno lasciato l’Italia per cercare fortuna in America o in Nord Europa, sono stati ghettizzati e umiliati pesantemente. E non dimentichiamo che nelle città del Nord Italia, negli anni ’70 e ’80, i cittadini meridionali che si trasferivano al Nord erano regolarmente chiamati ‘terroni’ e relegati in ghetti, e stiamo parlando di una trentina d’anni fa. Volendo fare una battuta feroce, potremmo dire che i cittadini del Sud emigrati al Nord sono stati ‘salvati’ dalle ondate di extracomunitari, divenute il nuovo bersaglio di tutte quelle persone che manifestano una forma più o meno sottile di razzismo e intolleranza”.

Tatiana Battini  (12/01/2012)

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