di Maurizio Sacchi
L’Iran ha dichiarato “persona non grata” l’ambasciatore del Regno unito a Tehran Rob Macaire, inizialmente arrestato lo scorso giovedì durante una manifestazione di protesta per l’abbattimento del jet ukraino che ha lasciato 176 vittime, e poi rilasciato come prevede la legge internazionale. Tehran ha giustificato la misura, che prevede l’espulsione del diplomatico, per “interferenza negli affari interni dell’Iran”, non prevista nelle prerogative del suo incarico.
Intanto, Gran Bretagna, Francia e Germania hanno avviato un processo che potrebbe portare alla reintroduzione delle sanzioni delle Nazioni Unite sull’Iran e al fallimento definitivo dell’accordo nucleare del 2015. La mossa, secondo le dichiarazioni che la accompagnano, deriva dal timore l’Iran possa essere a meno di un anno dall’acquisire la capacità di sviluppare una bomba nucleare“. La preoccupazione è che impareranno qualcosa che non è possibile disimparare”. Questa affermazione di un funzionario è riportato dal Guardian di Londra, che non ne cita il nome.
Teheran ha giustificato la violazione dei termini dell’accordo con il ritiro unilaterale degli Stati Uniti, deciso dalla presidenza Trump nel 2018. In risposta alle sanzioni americane, l’Iran ha cercato l’anno scorso di convincere gli altri Paesi firmatari a attivare incentivi economici per compensare le sanzioni americane, ma senza mai riuscire a tradurre l’impegno di questi in azioni concrete. E l’accelerazione della ricerca e degli esperimenti nell’arricchimento dell’uranio, che va oltre a quanto stabilito nell’accordo del 2015, va interpretata, secondo quanto Tehran stessa dichiara,
Le sanzioni rischiano di trasformarsi in un vero e proprio embargo, mettendo ancor più in difficoltà la società iraniana, già provata da una crisi economica grave. Secondo il Fondo monetario internazionale, le sanzioni paralizzanti imposte dall’amministrazione Trump hanno reciso l’accesso dell’Iran ai mercati internazionali, decimando l’economia, che ora si sta contraendo all’ allarmante tasso del 9,5 per cento annuo. Le esportazioni di petrolio sono state effettivamente pari a zero a dicembre, secondo Oxford Economics, poiché le sanzioni hanno impedito le vendite, anche se ia questo dato mancano le esportazioni non ufficiali, i cui volumi sono sconosciuti.
Ma le sanzioni sono utili? E chi colpiscono? Le Nazioni unite, che hanno imposto le ultime sanzioni all’Iraq di Saddam Hussein dopo la prima guerra del Golfo, hanno visto svolgersi un dibattito animato su questo strumento, che successivamente è stato utilizzato dalle potenze occidentali in vari casi -i più recenti il Venezuela di Maduro, e appunto l’Iran- ma che viene messo in dubbio, sia per efficacia, che per i suoi risvolti etici, sempre più spesso.
Proprio in Iraq, nel 1999, un rapporto pubblicato dall’Unicef affermava che a seguito dell’embargo, la malnutrizione delle madri aveva causato un tasso di natalità di bambini sottopeso superiore al 23,8%: il 14,7 percento dei bambini soffriva di malnutrizione, l’11,7 percento di malnutrizione cronica e l’8,2 percento di malnutrizione acuta. Il rapporto sottolineava che l’embargo aveva causato un aumento della deformità congenita, malattie infettive e febbre alta a causa della carenza del trattamento necessario.
Nelle intenzioni di chi lo aveva imposto, i danni alla popolazione civile avrebbero dovuto essere alleviati dal programma Oil for Food, petrolio per cibo, per cui si autorizzavano esportazioni di quantità limitate di greggio, da pagarsi in generi alimentari e cibo. piano rivelatosi poi ampiamente insufficiente, come evidenziarono quelle statistiche.
Alla pubblicazione del rapporto seguì allora un dibattito, in cui gli Stati uniti sostennero la validità delle sanzioni, e additarono nello stesso Saddam Hussein il responsabile del dirottamento delle risorse provenienti da Oil for food dalle famiglie in difficoltà alla stretta cerchia del potere. Cosa che d’altra parte era ampiamente prevedibile, visto che le sanzioni erano state imposte anche perché si definiva dittatoriale il regime iracheno. E infatti simili situazioni si segnalano anche in Venezuela, dove le scarse risorse disponibili vanno a soddisfare la ristretta elite del potere bolivariano, mentre la crisi economica paralizza la nazione, e ha già portato almeno 3 milioni di venezuelani ad abbandonare il Paese.
Nelle intenzioni di chi le impone, le sanzioni vorrebbero indebolire i regimi colpiti, aumentare il dissenso. e spingere verso la rivolta e il cambio di governo. Nei fatti però, mentre i danni alla popolazione sono reali e tangibili, questi effetti non solo si verificano raramente, ma anzi danno ai regimi sotto accusa un capro espiatorio esterno per giustificare le inefficienze, e per tentare di ricompattare l’opinione pubblica intorno al concetto di una patria assediata.
Più realisticamente, specie nel caso dell’amministrazione Trump, le sanzioni sono il modo di colpire un Paese ostile nel suo complesso, e il sostituto, certo meno cruento, ma tutt’altro che umanitario della guerra combattuta con le armi. Le dichiarazioni di solidarietà di Donald Trump alla popolazione iraniana, che protesta per la morte dei giovani iraniani a bordo del jet delle Ukranjan Air Lines, o ai giovani iracheni in rivolta, suonano così retoriche e ciniche, e stentano a nascondere il reale obbiettivo che perseguono, che è esclusivamente quello di proteggere gli interessi economici degli Stai uniti nelle aree di interesse.
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