Israele vs Iran. Se il conflitto si allarga. Il Punto

Il bilancio della settimana del direttore dell'Atlante

di Raffaele Crocco

Siamo al settimo giorno di guerra e il rischio vero è che il fronte si allarghi. Nuovi attori sono alla porta. Lo scontro fra Israele e Iran, iniziato con l’attacco aereo deciso da Tel Aviv il 13 giugno 2025, continua, con scambio di missioni aeree, missili e droni. I bombardamenti israeliani hanno causato, ad oggi, almeno 240 morti. La risposta iraniana ha distrutto 24 vite israeliane e molti punti edifici ed impianti strategici sono stati colpiti.

Sabato, alcuni missili sono esplosi a soli 300 metri dalla sede del “Pentagono d’Israele”, il Ministero della Difesa a Tel Aviv. Un altro attacco ha colpito il Weizmann Institute of Science, uno dei principali centri di ricerca israeliani, a Sud della capitale. L’istituto collabora spesso con le forze armate israeliane. Sono stati colpiti a seguire anche diversi edifici residenziali, un ospedale e nel Nord, i missili iraniani hanno colpito il complesso petrolchimico Bazan di Haifa, la più grande raffineria di petrolio del Paese, che ha interrotto le attività.

La guerra, insomma, prosegue senza esclusione di colpi e in un possibile crescendo che mette in allarme ogni angolo del Pianeta. Gli osservatori militari oscillano fra considerare l’Iran in ginocchio e il pensare Israele ormai vicino al collasso. Anche per questa ragione, cioè l’esaurirsi delle capacità offensive di Tel Aviv, gli Stati Uniti dell’imprevedibile presidente Trump starebbero per scendere in campo. Secondo l’agenzia Bloomberg, che cita anonimi funzionari statunitensi, gli Stati Uniti si starebbero preparando per un possibile attacco all’Iran nei prossimi giorni. I movimenti navali e l’arrivo di truppe nella regione ne sarebbero la conferma. Nel frattempo, l’Iran non ha chiesto alcuna assistenza militare alla Russia. Lo ha spiegato il presidente russo Vladimir Putin, in un incontro a San Pietroburgo con alcune delle maggiori agenzie stampa internazionali.

La diplomazia si muove come può. Oggi, venerdì 20 giugno, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si riunirà per analizzare la situazione, sotto la presidenza di turno, la Guyana. Sempre oggi, a Ginevra si incontreranno i ministri degli Esteri di Germania, Francia, Gran Bretagna, l’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas e il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi. E’ una riunione per discutere proprio di quel nucleare iraniano diventato alibi per l’attacco di Israele. Non ci sono grandi aspettative, ma tenere aperti i tavoli di confronto viene giudicato già positivo. Certamente, per ora è fallito il tentativo israeliano di rovesciare il regime iraniano. Da Teheran, membri dell’opposizione interna – gente che rischia la pelle ogni giorno, da anni – ha fatto sapere che “se il regime degli ayatollah cadrà, sarà per volontà del popolo iraniano, non per le bombe d’Israele”.

Nel frattempo, il capo del governo israeliano, Netanyahu, approfitta dell’attenzione internazionale spostata sulla guerra con l’Iran e tenta di finire il lavoro a Gaza. La strage continua. Mercoledì 18 giugno 2025, almeno 72 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano in tutta la Striscia. Di questi, 29 erano tra quelli che attendevano i camion degli aiuti. L’ultimo episodio di morte fra chi cerca aiuti umanitari si è registrato in una via centrale di Gaza, via Salah al-Din, vicino al Corridoio Netzarim. Oltre 100 persone sono rimaste ferite nell’attacco.

Più lontano, in Ucraina, la guerra è arrivata al giorno 1.212 dall’invasione russa. Mentre al fronte tutto pare congelato, tutto continua, senza esclusione di colpi, sulle città. Nella notte del 17 giugno c’è stato un massiccio attacco di missili e di droni russi su Kiev. I civili morti sarebbero almeno 10. Il bombardamento è durato quasi nove ore, con droni kamikaze, missili da crociera e balistici.

Gli Stati Uniti, sono intervenuti subito con una nota diplomatica, che ha evidenziato come la politica e la diplomazia di Washington si muovano sempre su più binari contemporaneamente. Da sempre silenziosa rispetto ai quasi 60mila civili assassinati a Gaza, l’amministrazione Usa si è subito – e in questo caso giustamente, ci mancherebbe – indignata per i civili colpiti a Kiev. Il portavoce del dipartimento di Stato, Tammy Bruce, ha sottolineato la “forte condanna” di Washington nei confronti dei “raid sui civili”. Sono gli stessi Stati Uniti che hanno, però, bloccato una dichiarazione “forte” del G7 riunito in Canada. L’organizzazione degli stati ad economia avanzata condannava pesantemente la Russia per la sua azione militare in Ucraina. Un funzionario canadese ha spiegato che non vi è stata alcuna dichiarazione “perché gli americani volevano annacquarla”.

Una linea rossa, quella che unisce tutte queste guerre, che delinea lo scontro fra schieramenti nel Risiko mondiale. Uno scontro che, nel silenzio quasi generale, prende sempre più la via dell’Artico. La nuova rotta commerciale del Nord, aperta dal cambiamento climatico e dal conseguente sciogliersi dei ghiacci, fa gola a tutti. La Russia starebbe espandendo proprio lì la propria presenza militare. Lo ha denunciato Andriy Chernyak, della Direzione principale dell’intelligence del ministero della Difesa ucraino. Ha spiegato che Mosca cerca in quell’area anche giacimenti di risorse naturali, trasformando l’Artico nella propria piattaforma per controllare rotte commerciali e risorse. “Se la comunità internazionale continuerà a sottovalutare questi processi – ha aggiunto – il Nord potrebbe diventare la prossima zona di tensioni”. Una tesi che pare trovare conferma nella decisione presa in settimana da Trump: la Groenlandia, terra dell’Unione Europea, è passata sotto il controllo del Comando Settentrionale Usa, delle Forze armate statunitensi, spostandola dal comando che si occupa dell’Europa. Le manovre per la presa di possesso della Groenlandia da parte di Washington forse sono cominciate.

 

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