Kherson, esistere e resistere sotto occupazione

Quella di Daria è una storia di resistenza civile, di comunità e di arte in tempo di guerra. Prima della liberazione della città ucraina, questa era la vita quotidiana sotto i militari russi

di Eleftheria Kousta

La speranza e l’orgoglio hanno riempito i cuori di molti cittadini ucraini, quando l’esercito nazionale ha liberato Kherson dall’occupazione russa il 12 novembre. Tra loro c’era anche Daria, giovane artista ucraina attiva sul fronte musicale e nella recitazione. Daria è originaria della città di Kherson: vi era tornata un anno fa per lavorare come conduttrice televisiva per un canale locale. Sebbene Daria e la sua famiglia siano ora sani e salvi all’estero, lei e i suoi cari hanno vissuto in prima persona l’occupazione per quattro mesi, fino a quando hanno deciso di fuggire attraversando la Crimea, viaggiando da lì verso la Georgia, per poi lasciare del tutto la regione.

Come molti altri ucraini, Daria e il suo compagno sono stati svegliati la mattina del 24 febbraio dalla telefonata di un amico, che li informava dell’inizio della guerra. Le ore successive sono passate in balia dei titoli dei notiziari, che scorrevano sotto un mix di shock e incredulità. Impreparati come erano, hanno fatto in fretta i bagagli e si sono trasferiti dai genitori del compagno di Daria, che all’epoca vivevano nelle vicinanze. “Ricordo questa terribile sensazione di paura nelle strade e di isteria. Tutti correvano, le auto si muovevano velocemente, tutti cercavano di prelevare denaro dalle banche. Ricordo di aver preparato le mie cose e di aver cercato di pensare a ciò che mi serve e a ciò che non mi serve, se morirò in questo minuto o nei prossimi 10 minuti o ore. Guardavo fuori dalla finestra per vedere i soldati o i razzi, ma fuori non c’era nulla, non era successo nulla a parte il bombardamento del nostro aeroporto, non c’erano scontri per le strade o cose del genere”.

La calma era solo temporanea: Daria e le persone intorno a lei hanno trascorso i giorni successivi nell’angoscia, senza riuscire a dormire: sentivano le bombe cadere nelle vicinanze, sul sito del ponte Antonovskiy, dove un piccolo battaglione dell’esercito ucraino stava cercando di impedire ai soldati nemici di avanzare in città. Al di là del ponte si trova il villaggio di Dachi: molte delle famiglie residenti avevano dovuto evacuato la zona a causa degli intensi combattimenti, poiché le loro case erano state bombardate. Gli abitanti di Dachi sono arrivati nella città di Kherson in una situazione disastrosa: non avevano nulla e mancavano dei beni di prima necessità, poiché erano dovuti partire in preda al panico senza avere il tempo di raccogliere i propri averi. Dato l’aumento dei bisogni umanitari, dovuto alla moltitudine di persone che si riversavano in città, Daria e il suo partner hanno iniziato a fare volontariato subito, già dal 25 febbraio.

Daria ha usato i social media per informare le persone che era disposta ad aiutare e che poteva guidare un’auto. Tramite i suoi account ha chiesto ai suoi follower notizie su dove si erano rifugiate le persone di Dachi, perché poteva aiutare a portare loro i rifornimenti. “Ho iniziato a collegarmi con altre persone che facevano volontariato e organizzavano attività umanitarie. Per diversi giorni abbiamo aiutato ininterrottamente dalle 7 alle 20, poco prima del coprifuoco militare. Facevamo volontariato mentre cadevano le bombe, e questa è una cosa a cui non ci si può abituare. Ricordo che mi tremavano le mani mentre guidavo la macchina con molte persone e provviste a bordo”, ha raccontato.

Daria racconta di essere stata toccata nel vivo dal coinvolgimento ricevuto attraverso i social media: molte persone in Ucraina e in tutto il mondo hanno inviato donazioni che hanno permesso a lei e al piccolo gruppo di cittadini volontari di cui faceva parte di acquistare medicinali, cibo e altri beni di prima necessità. Il movimento da loro avviato è cresciuto rapidamente, e già il quinto giorno dopo aver iniziato a raccontare online la sua attività, le persone chiamavano Daria per chiederle di essere coinvolte. “I proprietari di farmacie offrivano materiale medico-sanitario, e gli amici che avevano caffè o bar offrivano cibo. Molti altri ci hanno aiutato a raccogliere provviste ed aiuti. Abbiamo girato tutta Kherson per consegnare materiale ai centri per i rifugiati e per i volontari, agli ospedali, e ci siamo anche messi in contatto con il direttore dell’ospedale per sapere che tipo di medicinali avevano bisogno di acquistare, mentre io raccoglievo fondi online e conservavo le ricevute per mostrare ai miei follower a cosa servivano i soldi”.

Alla fine i militari russi sono riusciti ad attraversare il ponte Antonovskiy, e il secondo giorno di marzo Kherson è passata sotto l’occupazione russa. Quando le forze sono entrate in città, Daria viveva ancora vicino al ponte Antonskiy: testimonia di aver visto i loro veicoli mentre passavano, e di aver capito subito come sarebbe stata la vita con le forze di occupazione. “Quando vivi per quattro mesi con loro, impari a riconoscere il rumore delle auto militari russe: fanno un rumore molto specifico. Ogni volta che uscivamo e sentivamo questo rumore sapevamo che stavano arrivando, e dovevamo essere pronti ad affrontare ciò che sarebbe potuto accadere nei minuti successivi”. Una volta stabilitisi a Kherson, i russi hanno iniziato a ridipingere tutte le strade, distruggendo i simboli ucraini esposti in pubblico. Il blu e il giallo sono diventati bianco, blu e rosso”. La presenza russa ha lasciato un’impronta pesante sulla vita quotidiana dei civili sotto occupazione. “Erano dappertutto, nei mercati, giravano in auto rubate e marchiate con la scritta Z. Vivevano tra noi ucraini, passando per le stesse strade, respirando la stessa aria, mangiando lo stesso cibo”.

Dopo l’arrivo degli occupanti, la città ha iniziato a sembrare una gabbia, racconta Daria. Tuttavia, la presenza russa in città non è stata accolta con fiori, ma con resistenza, cosa che per molti soldati russi è stata “sorprendente”, poiché erano convinti di arrivare come liberatori. Daria ha raccontato che molte persone, compresa lei, hanno tirato fuori bandiere e cartelli ucraini per mostrare la loro posizione. Le persone organizzavano incontri clandestini per discutere cosa fare della situazione. Ma presto le spie hanno iniziato a frequentare questi raduni, e le autorità hanno iniziato a rapire o detenere le persone. Gli occupanti si erano nel frattempo impadroniti di diversi edifici amministrativi e utilizzavano i loro famigerati scantinati come camere di tortura, analogamente a quanto avveniva nelle aree liberate di Charkiv.

Le forze di occupazione hanno dedicato parte dei loro sforzi a catturare “cuori e menti” al di là delle pratiche di intimidazione. “Cercavano di dirci che il governo ucraino ci ha abbandonato, che Kherson ora era parte della Russia, che Kherson è una città russa”, ha detto Daria. Tuttavia, i residenti di Kherson hanno beneficiato della possibilità di mantenere un filo di comunicazione con il resto dell’Ucraina anche sotto l’occupazione, a differenza di altri territori annessi dove le telecomunicazioni erano state completamente tagliate. Un giorno, l’esercito russo ha bloccato completamente le reti ucraine e per un po’ di tempo i cittadini ucraini non hanno potuto usare internet o fare chiamate. “Non eravamo tagliati fuori dal resto dell’Ucraina; avevamo la possibilità di ordinare forniture come medicinali e cibo. Ci voleva però più tempo per riceverle, le persone le inviavano da Kiev e Odessa, ma la solidarietà è stata di grande aiuto. Questa comunicazione con il resto del Paese ci ha fatto riflettere, ci ha fatto credere e ci ha fatto sperare”.

È importante notare che gli occupanti russi hanno iniziato a prendere di mira i volontari che offrivano aiuto ai rifugiati, come Daria. Progressivamente, gli attivisti hanno dovuto operare in segreto e ridimensionare notevolmente le loro operazioni. “Cercavamo di aiutare a livello locale, di aiutare i vicini, gli anziani, i bambini”. Ma la brutale attività di polizia per qualsiasi segno di dissidenza non ha fatto che crescere. Daria ha raccontato di episodi in cui i soldati russi sono entrati nelle case dei suoi amici e hanno ispezionato i loro telefoni per vedere se stavano aiutando l’esercito ucraino, chiamandoli “nazisti ucraini”. Alcuni sono stati fatti sparire con la forza o detenuti. “Uno è stato torturato per cinque giorni di fila, un altro è stato sequestrato e non so nemmeno dove sia – o se sia ancora vivo”, ha detto. Daria racconta anche che le forze russe si sono presentate a casa di un’amica di sua madre solo perché, prima dell’occupazione, lavorava per il governo locale. I russi l’hanno minacciata, dicendole che avrebbe lavorato per loro o avrebbero ucciso i suoi figli. L’amica di sua madre ha fatto i bagagli il giorno successivo e ha lasciato Kherson per sempre. Gli appartamenti e le case lasciati vuoti venivano occupati e saccheggiati dai soldati. Nonostante gli esempi di solidarietà che Daria ha sperimentato, i rapporti tra le persone diventavano sempre più tesi: nei territori occupati, alcuni cittadini venivano persuasi ad agire come spie o a collaborare con le autorità russe. Così, vicini denunciavano i vicini accusandoli di essere filo-ucraini o nazisti.

Nella brutale realtà dell’occupazione, Daria e i suoi amici cercavano di mantenere un senso di “normalità” nonostante le circostanze, tentavano di tenere alto il morale. “Andavamo spesso in bicicletta perché era primavera: cercavamo di fuggire dalla città e di andare nelle campagne dei villaggi vicini, nella natura, per non stare in città a vedere ogni giorno le loro facce. Avevamo bisogno di una pausa dagli occupanti, dal vedere le auto militari con la Z”. Daria ha iniziato a notare le differenze tra le persone dopo l’occupazione: molti erano spaventati e depressi, ma molte persone, molte delle quali nella sua cerchia ristretta, erano ottimiste. La speranza che Kherson sarebbe stata presto liberata le faceva andare avanti. “Pensavamo che il nostro esercito fosse vicino, che avremmo resistito all’occupazione fino alla liberazione. È davvero strano incontrarsi con gli amici per un barbecue quando le bombe cadono nelle vicinanze”.

La resistenza ha avuto un impatto immenso sulle forze di occupazione: oltre a inviare un chiaro messaggio di “non accoglienza”, le ha anche incentivate a vendicarsi della popolazione locale. “Quando l’esercito ucraino ha iniziato a vincere, gli occupanti russi hanno iniziato a mentire alla popolazione, e ad arrabbiarsi molto. Torturavano più duramente le persone, attaccavano ancor di più i civili per punirci della nostra resistenza”.

Ogni giorno diventava sempre più pericoloso per Daria e per i suoi amici. A maggio, lei e la sua famiglia hanno dovuto prendere la difficile decisione di andarsene dopo essere rimasti in città per quattro mesi. “I russi lanciavano i razzi dall’interno della città, ogni giorno potevi vedere sopra la tua testa razzi volanti. Non sapevi mai dove sarebbe atterrato il prossimo missile, poteva essere a casa tua”. Il trauma ha accompagnato molti ucraini anche quando sono fuggiti dal pericolo. “Non si può restituire la vita alle persone. Gli effetti a lungo termine dell’occupazione risultano in un trauma profondo. Io stessa sogno ogni giorno di essere a Kherson, la lettera Z è un fattore scatenante per la mia ansia. E non sono l’unica: mio fratello minore, per esempio, parla ucraino. Dopo l’inizio della guerra mia madre, quando lo portava fuori in pubblico, gli diceva che doveva parlare russo in pubblico, anche se lui si opponeva. Cercavamo di spiegargli perchè, ma lui si limitava a sussurrare invece di parlare. Tuttora, anche all’estero, è traumatizzato dall’idea di parlare ad alta voce perché ha paura che i russi lo prendano”.

Come ultimo atto di resistenza, pochi giorni prima di lasciare Kherson, Daria ha girato un video musicale per una canzone realizzata insieme a una sua amica, che potete vedere cliccando questo link. La canzone si intitola Чари ночі (“Il fascino della notte”), prendendo a prestito il titolo di una poesia del celebre scrittore ucraino Oleksandr Oles. Questo il messaggio: “Gli abbracci di addio si sono rivelati piuttosto calorosi, ma credo che ci rivedremo presto. Dedico questo video a tutti coloro che sono stanchi della pressione dell’occupante, a tutti quelli che hanno lasciato le loro case. A coloro che aspettano la liberazione del Sud. A tutti coloro a cui Kherson manca tanto. A tutti i miei amici, che non so quando rivedrò nei miei luoghi preferiti della città”.

La foto di copertina è dell’autrice. L’articolo originale è uscito su atlasofwars

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