di Raffaele Crocco
Pace sempre poca, da quelle parti. E il carico nelle ultime settimane lo ha calato la diplomazia statunitense, con la lettera di dimissioni che l’ambasciatrice Usa all’Onu, Nikki Halley, ha firmato qualche giorno fa. Nel documento inviato al segretario generale delle Nazioni Unite chiedeva la fine della missione Unmik dell’Onu in Kosovo, ritenuta ormai inutile da Washington.
Una mossa che rischia di creare ulteriori, nuove tensioni nei Balcani. Il vento del nazionalismo continua a gonfiar vele, da quelle parti. Ai risultati elettorali in Bosnia Erzegovina, con la vittoria dei nazionalisti bosgnacchi e serbi e alla vicenda del referendum fallito in Macedonia, per il cambio di nome e l’accordo con la Grecia, ora si aggiunge il riacutizzarsi del “caso Kosovo”.
Apparentemente la posizione americana sembra positiva. Il Kosovo – questa la tesi ufficiale – non ha più bisogno di una forza armata straniera a garantire la pace, quindi si va verso la stabilizzazione. La realtà è più complessa. L’uscita di scena dei Caschi Blu, per Belgrado significherebbe l’avvio del riconoscimento del Kosovo come stato autonomo, con frontiere definite e esercito proprio. Cosa, questa, che sino ad oggi sono riusciti ad evitare. Gli Stati Uniti premono, perché il Kosovo si doti di proprie forze armate. Il Parlamento di Pristina all’inizio di ottobre ha votato tre leggi che – a dispetto degli accordi che nel 1999 posero fine alla guerra con la Serbia – pone le basi per far nascere un esercito di circa 5mila uomini.
Una ipotesi, questa, che i serbi rigettano. Per Belgrado, il Kosovo resta la provincia più meridionale della Serbia, considerandola solo sotto tutela internazionale. A rafforzare questa convinzione c’è la risoluzione 1244 delle Nazioni Unite, la stessa che nel 1999 creò la missione dei Caschi Blu. In quella risoluzione non viene mai riconosciuta o citata la possibile indipendenza del Kosovo. Il documento assegna all’Onu la tutela del territorio, ma non parla di un futuro indipendente.
Dal 2008, anno in cui Pristina dichiarò unilateralmente la propria indipendenza, sono 123 sui 193 che formano le Nazioni Unite i Paesi che l’hanno ufficialmente riconosciuto. Nel Consiglio di Sicurezza, Russia e Cina continuano a parlare del Kosovo come “provincia serba”. Lo stesso fanno, nell’Unione Europea, Spagna, Cipro, Slovacchia, Romania e Grecia, che non hanno alcuna intenzione – per ragioni interne – di far passare il principio della proclamazione unilaterale di indipendenza.
Così, il processo di pace resta una illusione, nonostante il presidente kosovaro Tachi e quello serbo Vucic si siano incontrati. Proprio Vucic, però, recentemente ha dichiarato che “se la Serbia verrà messa all’angolo, potrebbe non avere altra scelta che “difendere il Paese” e “il popolo”, fra cui quello rimasto in Kosovo”.
Le spade sembrano sguainate, quindi. Quelle di Vucic sono parole durissime, che nascono anche dalla scelta di Pristina di far nascere un esercito. L’obiettivo – secondo il governo kosovaro – è proteggere tutti i cittadini, ma la minoranza parlamentare serba ha protestato, dicendo che la legge va contro le intese del 1999. Sono tensioni che crescono, proprio mentre l’Unione Europea decide – a maggioranza – di avviare le procedure per permettere ai cittadini del Kosovo di girare liberamente nel territorio dell’Unione. E’ una buona notizia.
L’unica di questo periodo.
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