di Tommaso Andreatta
La fame non passa mai di moda. Spesso precede le malattie. Spesso è dovuta alla guerra e a volte è dovuta ai danni dovuti alle reazioni della natura.
I conflitti in corso e gli shock legati al clima hanno lasciato milioni di persone vicine alla fame. L’allarme è stato lanciato nei giorni scorsi dalla Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura).
I vertici Fao dicono che servono 1.06 miliardi di dollari «per salvare vite e affrontare la fame acuta in 26 Paesi».
Dominique Burgeon, direttore della divisione emergenze dell’agenzia Onu, ha dichiarato: «La realtà è che mentre le vite di milioni di persone sono state salvate grazie alla rapida risposta umanitaria nel 2017, milioni di altre persone rimangono vicine alla fame».
Quindi l’allarme è costante. La bilancia tra nord e sud del pianeta, con tutte le implicazioni economiche e sociali, pesa solo da una parte, come sempre.
La Fao punta alle sponsorizzazioni private. L’idea è di fare una serie di interventi per riavviare le produzioni locali e – scrive l’Ansa – migliorare «l’alimentazione per oltre 30 milioni di persone dipendenti dall’agricoltura. L’appello umanitario per il 2018 si concentra sull’assistenza alle persone colpite dalle crisi in 26 dei Paesi più vulnerabili del mondo, tra cui Yemen, Congo, Sud Sudan, Siria e Somalia. L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite ha rilevato che numero delle persone malnutrite è quota 815 milioni».
In questa lista non compare il Kenya. Eppure di questo Stato si parlava dettagliatamente fino a qualche mese fa.
Da un report del 2017 del World Food Programme – citato da Amref – risulta che il 47% della popolazione del Kenya «vive al di sotto della soglia di povertà e che quasi 370.000 bambini con meno di cinque anni di età soffrono di malnutrizione acuta».
Un quadro di miseria diffusa creato anche dalla grave siccità che nel tempo ha copito il Paese e quelli vicini
La carenza di fondi rischia di mettere in crisi le operazioni del Programma Alimentare Mondiale. In Kenya 780.000 donne e bambini affetti da malnutrizione, nelle aree maggiormente colpite dalla siccità. «Il portavoce del World Food Programme) ha ricordato infatti che lo scorso novembre l’agenzia è stata costretta a ridurre del 30% le razioni di cibo destinate a 420mila rifugiati nei campi profughi del Kemya del Nord, a Dadaab e Kakuma. Tagli, questi, tutt’ora in vigore».
In Kenya 3,4 milioni di persone non hanno cibo a sufficienza . In Etiopia si arriva a quota 8,5 milioni, «il numero più alto di tutta l’Africa dell’Est».
Nei giorni scorsi non sono mancate parole di sostegno da parte della Chiesa di papa Jorge Mario Bergoglio nella causa africana. «Per sradicare la fame in Africa – si legge su Insider (La Stampa) – occorre affrontare la questione dei cambiamenti climatici e quella dei numerosi conflitti che investono il continente nero». Il quotidiano di Torino riporta le parole del pontefice argentino: «Dobbiamo chiederci quale ruolo svolge in questa situazione tragica, in cui sono in gioco milioni di vite, la mancanza di solidarietà».
Una presa di posizione contenuta in un messaggio, a firma del cardinale segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, al presidente della Repubblica di Guinea Alpha Condé, presidente di turno dell’Assemblea dell’Unione Africana.
Secondo il papa – nato nel 1936 a Buenos Aires – «la situazione sempre più difficile in Africa richiede una rinnovata cooperazione nei confronti di quei popoli che, per vari motivi, non possono soddisfare i loro bisogni umani fondamentali (…) La dignità di ogni persona umana» richiede la rimozione degli ostacoli alla soddisfazione di ciascuna necessità nel rispetto dei «principi di giustizia distributiva».
https://www.amref.it/2018_01_05_Est_Africa_il_Programma_Alimentare_Mondiale_lancia_allarme_fame