La guerra irrompe in Asia. Il punto

Il bilancio della settimana sui conflitti che attraversano il pianeta
di Raffaele Crocco

 

È di nuovo guerra, con una minaccia precisa e terribile, chiusa nel messaggio che Islamabad ha spedito in  a New Delhi: le nostre armi atomiche – hanno detto – non sono fatte per restare in magazzino. Una minaccia che si aggiunge alle tante di questo Risiko planetario giocato da altri attori, con meno riflettori puntati addosso.

La situazione fra India e Pakistan è precipitata. La cronaca la si conosce. Dopo l’attacco probabilmente pachistano di Pahalgam della scorsa settimana, con 26 turisti morti, c’e’ stata la rappresaglia indiana. Sono stati lanciati alcuni raid aerei e via terra. New Delhi dice di aver colpito almeno 30 siti in mano ai terroristi, il Pakistan parla di atto di guerra. Per le diplomazie internazionali, il rischio che lo scontro diventi totale è alto. Siamo – ricordiamolo – in quella terra perennemente contesa che si chiama Kashmir. Una zona di montagne alte e di fonti d’acqua preziose. A preoccupare, al di là delle azioni militari degli ultimi giorni e delle minacce, è la “postura diplomatica” assunta dai due Paesi. Hanno richiamato il personale delle ambasciate e ritirato i visti di soggiorno ai rispettivi cittadini. L’India, poi, ha calato l’asso: ha sospeso la sua adesione al Trattato sulle acque dell’Indo. È un accordo storico con il Pakistan, creato per regolamentare l’uso e la distribuzione delle acque del grande fiume. Per decenni è stato il “simbolo” del tentativo di dialogo fra i due Paesi. Contemporaneamente, Il Pakistan ha minacciato di ritirarsi dall’Accordo di Smla. È stato firmato nel luglio 1972, sette mesi dopo la netta sconfitta militare del Pakistan nella sanguinosa guerra del 1971. Il risultato, di quella guerra persa, fu lo smembramento del Pakistan e la nascita del Bangladesh. Nel bene e nel male, l’Accordo di Simla è da allora il reale punto di partenza delle relazioni ufficiali tra India e Pakistan. Per capirci: il confine montano fra i due Paesi – conosciuto come LoC – è delineato e definito da quell’intesa, che prevede anche l’impegno a risolvere le controversie con mezzi pacifici.

La nuova fase di questa antica guerra apre appunto un altro fronte nel Risiko mondiale: Islamabad, non dobbiamo dimenticarlo, è una vecchia alleata di Washington, pur fra mille incertezze e ambiguità. L’India, invece, è fra le fondatrici di quel Brics+, di quella alleanza fra economie forti e nuove che gli Stati Uniti avvertono come nemiche legate alla Cina. Una guerra fra due dei più popolosi Paesi del Mondo – siamo alla somma di circa 1,6miliardi di persone – , che sono anche potenze nucleari, diventerebbe davvero difficile da gestire.

In realtà, ovunque, tutto appare difficile da gestire. In Sudan la guerra interna non si ferma. La situazione per i civili è talmente drammatica che il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, si è detto “inorridito per gli attacchi nella regione del Darfur”. Sarebbero morti almeno 530 civili nelle ultime due settimane e le situazioni medica e alimentare sono disastrose.

Nel Vicino Oriente non va meglio. I palestinesi di Gaza – ma anche quelli della Cisgiordania, di cui raramente si parla – restano sotto attacco. E il quadro tende a peggiorare, con un’atmosfera da “soluzione finale”. Il governo israeliano, con l’appoggio dei principali leader politici, secondo Al Jazeera avrebbe approvato il piano di estendere ancora la guerra a Gaza, prendendo possesso del territorio e controllando direttamente le consegne degli aiuti internazionali, destinati alla popolazione. L’idea è di richiamare in servizio i riservisti e affidare a loro la distribuzione di cibo e materiali ai 2,3milioni di palestinesi che vivono nella Striscia. Inoltre, all’inizio della settimana, il capo del governo, Netanyahu, ha annunciato che “la popolazione palestinese di Gaza verrà spostata, per la sua stessa protezione”.

La guerra porta guerra: le forze armate israeliane, aiutate dagli Stati Uniti, hanno bombardato le postazioni Houthi, nel mar Rosso. Gli yemeniti da due anni attaccano le navi filo israeliane in nome della “solidarietà al popolo palestinese oppresso”. Tel Aviv ha lanciato la controffensiva, sganciando 50 bombe sul porto di Hodeida, considerato il terminale per l’arrivo di armi iraniane agli Houthi. Inoltre, sta bombardando intensamente San’a’, la capitale, colpendo ancora una volta i civili.

Solo un altro atto nell’interminabile guerra di Israele contro tutti e del tragico Risiko planetario. Che prosegue, nel silenzio reale della diplomazia, in Ucraina, dove si continua a combattere, nonostante le dichiarazioni trionfanti del presidente statunitense Trump. Mosca non ha ancora compiuto passi in avanti e Kiev ha già ceduto quello che poteva umanamente cedere, senza perdere gli ultimi pezzi di sovranità. Eppure, la pace appare lontana e difficile, uccisa sul nascere dalle troppe ambizioni di alcuni protagonisti.

Proprio la guerra in Ucraina rende ogni giorno più tangibile lo scontro fra Stati Uniti e Unione Europea. Il Presidente francese Macron e la presidente della Commissione Europea, von der Leyen, hanno attaccato duramente Trump, accusandolo di voler sacrificare l’Ucraina, costringendola a dichiararsi di fatto sconfitta solo per raggiungere il proprio obiettivo di riavvicinarsi a Putin. Contemporaneamente, la battaglia sui dazi non è conclusa e gli europei puntano a minare la credibilità statunitense. Lunedì, l’Unione Europea ha deciso di “incunearsi” nello scontro fra il presidente Trump e le università statunitensi, stanziando 586milioni di euro per “attrarre” in Europa i ricercatori che vogliono lasciare gli Stati Uniti. Una mossa che precede la decisione della coppia Macron – von der Leyen, di organizzare una conferenza a Parigi, proprio per attrarre accademici e ricercatori dagli Stati Uniti. In fondo, anche questo fa parte del grande Risiko planetario.

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