La Libia di nuovo nel caos

A Tripoli si sono registrati i più violenti scontri tra milizie degli ultimi anni. Tra vittime civili e feriti la popolazione è scesa in piazza a manifestare, mentre l’Onu vuole le elezioni

La Libia, uno dei Paesi più instabili del Mediterraneo, nelle ultime settimane è sprofondata nuovamente nel caos. La scintilla che ha incendiato nuovamente Tripoli è stata l’uccisione il 12 maggio di Abdelghani al-Kikli (detto “Ghneiwa”), comandante dell’Apparato di supporto alla stabilità (Ssa). Una milizia che controllava diverse infrastrutture statali e il quartiere di Abu Salim, nel sud della capitale libica, non del tutto allineata col governo centrale. Al Kikli è stato ucciso nella base di Tekbali, quartier generale della Brigata 444, una milizia inquadrata nell’esercito regolare del premier dell’esecutivo libico di unità nazionale riconosciuto a livello internazionale, Abdelhamid Dbeibah.

Per due giorni Tripoli è stata al centro dei più pesanti scontri armati registrati negli ultimi anni, che hanno terrorizzato la popolazione, provocato vittime civili e distrutto decine di edifici. La Brigata 444 ha rapidamente occupato le posizioni del Ssa, scontrandosi in seguito con le Forze speciali di deterrenza (Rada), l’ultima grande milizia rimasta nella capitale non ancora allineata con il premier Dbeibah, il quale ha cercato così di consolidare il proprio debole potere nella capitale, con scontri concentrati soprattutto a sud e a ovest di Tripoli.

Il 14 maggio è stato dichiarato un cessate il fuoco fragile e a più riprese violato. Nei giorni successivi la popolazione è scesa in piazza per chiedere nuove elezioni, lo scioglimento della Camera dei rappresentanti e dell’Alto Consiglio di Stato, ma soprattutto le dimissioni del governo di unità nazionale e dell’amministrazione parallela che governa la parte orientale del Paese. Mentre il 20 maggio un commando armato ha fatto irruzione nella sede dell’emittente pubblica Libya Al Wataniya, causando ingenti danni alle apparecchiature e provocando l’interruzione del segnale televisivo.

Da quando l’insurrezione sostenuta dalla Nato ha rovesciato nel 2011 la monarchia assoluta del colonnello Muammar Gheddafi, il Paese è controllato da numerose milizie accusate di pesanti crimini e violazioni dei diritti umani. Ma, soprattutto, la Libia resta divisa in due: a ovest (in Tripolitania) c’è un Governo di unità nazionale (Gnu) riconosciuto dall’Onu guidato a Tripoli da Dbeibah, mentre a est (in Cirenaica) un’amministrazione rivale con sede a Tobruk, controllata dalle Forze armate arabe libiche (Laaf) guidate dalla famiglia del generale Khalifa Haftar, sostenuta dalla Russia.

Per Hanan Salah, direttore in Medio Oriente e Nord Africa della ong Human Rights Watch, “i civili catturati nei combattimenti a Tripoli stanno ancora una volta sopportando il peso di gruppi armati che mostrano totale disprezzo per la vita delle persone sparando con armi pesanti nelle aree residenziali”. Ricordando inoltre che “le autorità devono garantire il loro diritto a proteste pacifiche”, riferendosi alla repressione delle manifestazioni di piazza andate in scena questi giorni.

La Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) ha annunciato la formazione di un “comitato di tregua” in collaborazione con il Consiglio presidenziale della Libia, presieduto dal Capo di stato maggiore della Libia, Mohamed Al-Haddad. Da inizio 2025 la missione Onu ha inoltre istituito su mandato del Consiglio di sicurezza un comitato consultivo, il cui obiettivo è cercare di superare l’impasse politico che dal 2021 impedisce lo svolgimento di elezioni presidenziali e parlamentari. Si tratta del tentativo più strutturato degli ultimi tre anni finalizzato a rimuovere i veti incrociati che bloccano le urne.

Intanto l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), l’unica organizzazione internazionale con una presenza stabile in Libia, in un rapporto pubblicato due giorni fa ha stimato che a inizio 2025 nel Paese c’erano oltre 850mila persone migranti, il numero più alto da quando l’agenzia Onu ha iniziato a fornire numeri nel 2016. La Libia è il principale Paese di partenza dei migranti che provano a raggiungere l’Europa via mare. Migliaia di queste persone finiscono in centri di detenzione, gestiti dalle milizie e inaccessibili anche all’Oim, dove negli anni sono state dimostrate condizioni disumane, con torture, percosse e stupri all’ordine del giorno.

Red Est/ADP

Nella foto in copertina, forze di sicurezza del Governo di unità nazionale a Tripoli ©Hussein Eddeb/Shutterstock.com

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