La memoria di Leningrado

«Memorie di un assedio» di Lidija Ginzburg - appena uscito per Guerini - offre al lettore la testimonianza sui 900 giorni dell’assedio della città sovietica. Non solo un diario ma una riflessione filosofica sul comportamento dell’individuo costretto a misurarsi con una condizione estrema: la guerra.

di  Francesca Gori* 

Si deve unicamente alla sua longevità se Lidija Ginzburg ha potuto assistere alla pubblicazione della sua opera dedicata all’assedio di Leningrado, sul cui manoscritto ha lavorato per più di quarant’anni. Negli appunti, conservati nel suo appartamento e incessantemente rielaborati nel periodo della maturità, ricostruisce la tragedia collettiva dell’assedio nella sua angosciosa quotidianità, scoprendo il legame comune tra emozioni ed esperienze privatamente vissute e la condizione degli altri, familiari, amici e persone osservate nella vita di tutti i giorni.

Nel racconto sobrio, essenziale, scevro da qualunque retorica, della Ginzburg non c’è spazio per motivazioni o alibi ideologici, ma solo per la lucida descrizione di una catastrofe storica e umana. Fatti e dettagli concreti vengono minuziosamente riportati, e a essi si aggiungono le voci dei testimoni sopravvissuti all’assedio fino a comporre una sorta di indagine antropologica. Chi vive o ha vissuto il trauma dell’assedio ne è rimasto profondamente segnato, sconvolto e non può dimenticare la devastante esperienza con cui è stato costretto a misurarsi, le giornate scandite dalle sirene, dagli allarmi e dal sibilo delle bombe e dalla quotidiana attesa della morte.

Lidija Ginzburg nasce il 5 (18) marzo 1902, in una famiglia della classe media dell’intelligencija ebraica di Odessa. Nel 1917, all’età di quindici anni, in quanto erede degli ideali social-liberali di quel milieu, è travolta insieme ai suoi compagni di studio dal clima di fervore culturale e ideologico della rivoluzione.Come i giovani intellettuali della sua generazione, Lidija Ginzburg non conobbe la pace: la sua infanzia coincise con la prima rivoluzione russa del 1905 e la Prima guerra mondiale; la sua gioventù con la rivoluzione del 1917 e la guerra civile. Negli anni del regime staliniano come esponente di spicco del formalismo fu oggetto di violenti attacchi da parte dei teorici della letteratura sovietica e perseguitata per la sua origine ebraica. Trascorse gli anni della giovinezza e della maturità sotto la costante minaccia dell’arresto e della deportazione.

Durante l’assedio di Leningrado accudì la madre che morì di distrofia alimentare nel 1942. L’analisi del complesso rapporto con i familiari e le persone più care nel momento tragico della morte causata dalle privazioni dell’assedio diventerà un tema ricorrente nelle Memorie di Lidija Ginzburg. La Ginzburg riuscì a sopravvivere grazie a un modesto impiego nel leggendario Comitato della Radio di Leningrado, fondamentale strumento di propaganda in quel periodo. Le politiche repressive contro esponenti dell’intelligencija di Leningrado prima della guerra e negli anni successivi fecero vittime nella sua cerchia più intima di amici e colleghi e segnarono la sua vita personale, sociale e professionale. Dopo la guerra insegnò all’Università di Petrozavodsk dal 1947 al 1950 per sfuggire alla campagna antisemita scatenata nelle università delle maggiori città.

Poco amata dall’establishment sovietico anche nel periodo post-staliniano, la Ginzburg riuscì a pubblicare i suoi Zapiski blokadnogo čeloveka (Memorie di un assedio) solo verso la fine degli anni Ottanta con l’avvento della perestrojka. Nelle sue memorie smaschera le ipocrisie e le inadeguatezze del regime, opponendosi alla retorica ufficiale dell’assedio e al mito patriottico costruito dal potere staliniano sulla resistenza eroica della città. La Ginzburg seguendo le teorie elaborate nei suoi precedenti studi psicologici e linguistici, delinea uno studio antropologico dell’uomo nella condizione dell’assedio.

Nella sua scrittura, a tratti sperimentale, la Ginzburg riproduce un pluralismo prospettico che dà forma a una polifonia narrativa in cui la lingua e la voce dell’Altro vengono sottoposte a una rigorosa analisi. I materiali utilizzati, pur conservando l’immediatezza e la spontaneità delle esperienze personali, sono filtrati attraverso la coscienza di chi scrive e sottoposti a una analisi distaccata, quasi scientifica. Mantiene un punto di vista analitico e astratto. Anche nelle trascrizioni delle conversazioni udite per strada, nelle code per il pane, nei rifugi antiaerei o nei luoghi di lavoro emerge una «universalità metafisica». L’autrice scandaglia le relazioni nascoste fra le «persone dell’assedio» che vivono in una realtà di estremo disagio psichico e fisiologico, analizzando il loro comportamento e le modalità di interazione. Il suo è uno studio antropologico sul comportamento dell’intellettuale nell’assedio, in particolare del protagonista N, che lavora al Comitato della Radio composto da scrittori, poeti, attori e personalità di spicco del mondo culturale leningradese.Diventa il simbolo della resilienza e della forza vitale dell’individuo che lotta quotidianamente per preservare la propria dignità, la libertà di pensiero e il diritto a esistere malgrado la degradazione e la sofferenza disumanizzante tipiche della condizione degli assediati.

La domanda che tormenta chi vive il dramma senza scampo dell’assedio fra fame, paure e privazioni, è come sopravvivere senza perdere la propria umanità. La routine quotidiana è una forma di sopravvivenza: portare fuori il bugliolo, rifornirsi d’acqua, affrontare le estenuanti code alla mensa per la colazione e il pranzo, procurarsi la razione di legna della giornata, cucinarsi alla sera la cena con gli scarsi alimenti disponibili, combattendo contro il gelo nelle stanze buie. Questa ossessiva routine diventa quello che la Ginzburg definisce «movimento circolare di un’esistenza minata dalla distrofia» (Memorie, p. 38). La malattia è una condizione cronica con cui quotidianamente ci si confronta quando non ci si lascia andare e non ci si abbandona all’apatia e alla immobilità fisica.

L’assedio di Leningrado fu un fenomeno unico nella storia della Seconda guerra mondiale non solo per il numero effettivo delle vittime, e per la spietata brutalità del nemico, ma anche per la ge- stione disumana della catastrofe da parte della leadership sovietica con la sua inadeguatezza e disorganizzazione. Più viene esplorato il vissuto dell’uomo dell’assedio più si svela al lettore e all’autrice il legame che ogni individuo ha con la collettività, seppure nella sua condizione di alienazione. La sopravvivenza di ciascuno dipende dalla sopravvivenza della città assediata e alla fine da quella dell’intera nazione. Benché concentrato sulla ricerca di una soluzione dei drammatici problemi personali che è costretto ad affrontare ogni giorno, l’uomo dell’assedio si sente parte di una «causa comune», quella causa comune che è uno dei concetti cardine della visione della storia di Tolstoj e che trova la sua concretizzazione in Guerra e pace.

Lidija Ginzburg in questi testi ci consegna una straordinaria testimonianza «dal vivo» sui novecento giorni dell’assedio di Leningrado.

*Estratto dall’introduzione del volume

 Lidija Ginzburg 

LENINGRADO. MEMORIE DI UN ASSEDIO

Pp 192 euro 18

TRADUZIONE E CURA DI Francesca Gori 

Guerini e Associati 2019

 

In copertina: Mobilitazione delle truppe sovietiche a Leningrado nel 1941. Sopra, Francesca Gori. Nel testo: batterie sovietiche a Leningrado e una mappa dell’avanzata tedesca

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