La nuova alba del Cile

Entro la prima settimana di luglio si insedierà  la Convenciòn Costituyente, che dovrà consegnare entro aprile 2022 il testo definitivo della nuova Costituzione

di Maurizio Sacchi

Entro la prima settimana di luglio si insedierà l’Assemblea costituente del Cile, la Convenciòn Costituyente, che dovrà consegnare entro aprile 2022 il testo definitivo della nuova Costituzione perché il Presidente della repubblica la ratifichi.Il percorso si concluderà nell’ottobre del 2022 con un referendum di approvazione della nuova Carta fondamentale. Il cambiamento sarà radicale: dei 155 costituenti usciti dalle urne, “Vamos por Chile” del Presidente conservatore Sebastián Piñera ha raccolto solo 37 seggi, mentre la variegata opposizione, gli “Indipendenti Non Neutrali” e la Lista del Pueblo con 48 seggi,  “Apruebo Dignidad” con 28 , la “Lista de los i Apruebo” e la Nueva Mayoria, il Partito Liberale, il Partito Progressista e Ciudadanos con 25 seggi, più i 17 seggi riservati ai “popoli originari”, primi fra tutti i Mapuches, rappresentano più dei due terzi dell’assemblea. Questo permetterà alle forze di opposizione di avere mano libera, superando l’ostacolo della maggioranza qualificata, che richiede appunto il 67 percento dei voti per far passare gli articoli della nuova costituzione.

La reazione dei media e dell’elite al potere è stata marcata dalla paura. Tra chi parla di “Chilezuela”, paventando una trasformazione del Cile in un regime simile a quello del Venezuela di Maduro, e chi vede la nuova maggioranza solo come un’alleanza di distruttori, si evoca la distruzione delle pensiline delle fermate dei bus, e si agita lo spauracchio del crollo della moneta e della borsa.  Ma già nel 2019 erano scese in piazza milioni di persone, e se è vero che vi furono atti di vandalismo, è altrettanto vero che la reazione dei Carabineros fu feroce, con decine di manifestanti accecati dalle pallottole di plastica sparate all’altezza del volto, e un gran numero di episodi di stupro a danno dei manifestanti. 

I temi che uniscono le diverse forze non rappresentate in parlamento sono però chiari e condivisi: primo fra tutti la lotta alla diseguaglianza, che ha reso drammatica la condizione non solo dei ceti più poveri, ma anche della classe media. Il modello neoliberista imposto già dai “Chicago boys” dell’era Pinochet, e mantenuto dalle forze che hanno governato il Cile anche dopo la fine della dittatura ha reso arduo l’accesso ai servizi essenziali per buona parte della popolazione. Infatti, uno dei temi che uniscono le forze uscite trionfanti da queste elezioni è l’accesso all’acqua potabile, che è scarso e costoso nelle periferie e nelle campagne. La nuova Costituzione dovrebbe prevedere che l’acqua sia un diritto essenziale, e come tale garantito dallo Stato. Una bestemmia per il credo privatistico finora dominante.

La parità di genere è un altro punto di unione fra le liste vittoriose. Le donne sono state in prima linea nei moti che hanno obbligato il governo a indire il referendum per la riscrittura della carta, e hanno pagato un prezzo altissimo durante la repressione. E ora sono protagoniste del processo di rinnovamento. La metà dei costituenti è donna; e l’elezione a sindaco della capitale Santiago della trentenne comunista Irací Hassler non rappresenta solo un clamoroso caso politico, ma è un segnale anche sul fronte femminista: la Hassler dal 2016 è nel consiglio comunale di Santiago, dove si è distinta per la sua azione in difesa dei diritti delle donne.

Alle minoranze indigene andavano di diritto 17 seggi della Convenciòn; ma fra tutte le forze dell’opposizione è condiviso un modello di Stato decentrato, che superi il centralismo che ha sempre caratterizzato la storia del Paese. Oltre alla difesa dei diritti e delle culture delle popolazioni originarie, si tratta di difenderne i territori, da sempre aggrediti da un modello economico e culturale che li ha visti solo come risorsa da sfruttare. Ora è prevedibile che un ridisegno della struttura statale secondo un modello policentrico riaffidi a chi vi abita il governo delle vaste arre non urbanizzate, che si traduca in una difesa degli ambienti naturali di grande ricchezza e varietà.

La difesa dell’ambiente, e un cambio di rotta rispetto all’extractivismo – termine che definisce l’approccio al territorio unicamente come fonte di risorse, minerarie, agricole e forestali, da sfruttare al massimo- rappresenta dunque un altro cavallo di battaglia di questa assemblea che si prepara a disegnare un nuovo modello di sviluppo, che certamente avrà un’eco fragorosa in tutta l’America del Sud. Questo tema sta entrando con forza in tutte le rivendicazioni degli altri Paesi, a cominciare dalla Colombia oggi nel pieno di una protesta di massa. Ma che investe anche il Brasile, dove Lula prepara la sua corsa alle elezioni dell’anno prossimo, e che ha già annunciato nella difesa dell’ambiente uno dei punti di contrasto con l’attuale politica di Bolsonaro. 

Malgrado l’affermazione del Presidente che, davanti alla sconfitta ha dichiarato che  “dovremo adattarci a rinunciare a parte dei nostri privilegi”, la preoccupazione delle elites è palpabile. E si traduce in un crollo della borsa, che dopo i risultati del voto  ha chiuso in calo del 9,3%, il calo maggiore dall’inizio della pandemia nel marzo dello scorso anno, mentre il peso è sceso del 2,3 percento. I rendimenti delle obbligazioni in pesos cileni in scadenza nel 2030 sono balzati di 22 punti base al 3,82 percento. Ma anche l’Economist di Londra ha dovuto ammettere che il livello di diseguaglianza e l’impoverimento della classe media, e la perdita di credibilità dei partiti di governo esigevano una risposta.

Resta solo da augurarsi che non si verifichi una fuga degli investimenti stranieri e dei capitali interni. E che questa indispensabile e storica svolta non sia soffocata sul nascere dalle logiche dei mercati finanziari. Forse la svolta impressa dall’Amministrazione Biden negli Usa può offrire a questo esperimento l’ambiente necessario per mettere radici e crescere.

Nell’immagine, una foto di Ignacio Amenábar per (Unsplash)

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