di Emanuele Giordana
Il termine “genocidio” non si può usare con leggerezza. Ma nemmeno far finta che possa valere per alcuni casi e non altri. Proprio in questi giorni, la casa editrice People ha dato alle stampe “Genocidi”, un saggio a quattro mani di Antonio Marchesi e Riccardo Noury, due persone che questo tema conoscono bene e hanno dovuto affrontare molte volte. Abbiamo chiesto a Marchesi cosa ha spinto gli autori a mettere mano a un libro che ha un intento divulgativo ma che nello stesso tempo si basa su salde convinzioni giuridiche
Innanzitutto – dice Marchesi – perché il tema è, purtroppo, di attualità, essendovi diverse ipotesi di genocidio in atto. A questa circostanza bisogna aggiungere il fatto che il modo in cui questo viene affrontato nel dibattito pubblico non ci soddisfa e non soltanto per l’uso approssimativo che spesso si fa del termine genocidio. La nostra insoddisfazione nasce soprattutto dal significato simbolico che si tende ad attribuirvi. Mi spiego. Il genocidio è di volta in volta descritto come il “crimine dei crimini”, il “male assoluto”, il “vertice della piramide dell’odio”. E’ legittimo… ma chi usa il termine finisce spesso per esprimere non un punto di vista sull’esistenza o meno dei presupposti perché si realizzi la fattispecie giuridica del genocidio in una determinata situazione, ma per usare invece quella parola come un’arma per colpire un avversario. E l’“avversario” non risponde dicendo che è sbagliato, a suo modo di vedere, qualificare quella situazione come genocidio, ma per dire che quell’opinione è in qualche modo una bestemmia (e se il riferimento è alla situazione di Gaza, per accusare l’interlocutore di antisemitismo). Si aggiunga che la polarizzazione del discorso – genocidio sì, genocidio no … e basta – finisce per distogliere l’attenzione da altri gravi crimini internazionali, come i crimini contro l’umanità, facendoli sembrare meno gravi di quello che sono. Quindi abbiamo provato a fare un po’ di chiarezza nella speranza di contribuire a riportare la discussione entro una cornice più corretta e accettabile
Commettendo un genocidio ci si propone non solo di distruggere fisicamente, ma anche di impedire la sopravvivenza biologica del gruppo, la trasmissione del suo patrimonio genetico e persino la sua identità culturale. Se dunque si ritiene che di genocidio si tratti … è giusto dirlo. E’ un’opinione che può essere argomentata che non si deve rinunciare ad esprimere perché il dibattito pubblico ha assunto le caratteristiche discutibili che ho detto prima. Poi si vedrà cosa concluderà la Corte Internazionale di Giustizia ma, intanto, c’è un lungo e dettagliato rapporto di Amnesty International che spiega perché, secondo l’organizzazione, ci sono tutti gli estremi del genocidio. Non c’era motivo di non pubblicarlo
Attualmente, c’è un mandato di arresto della Corte penale internazionale per genocidio nei confronti dell’ex Presidente del Sudan al-Bashir, c’è il ricorso del Gambia e altri Stati contro il Myanmar davanti alla Corte internazionale di giustizia per genocidio nei confronti della popolazione Rohingya e c’è il ricorso del Sudafrica e altri Stati contro Israele per l’azione nella Striscia di Gaza
Per “genocidio” s’intende una fattispecie penale comprensiva di due elementi: uno oggettivo, il c.d. actus reus, consistente in una serie di possibili atti utilizzati dall’autore del crimine; l’altro è l’elemento soggettivo, o mens rea, e cioè, l’intenzione di utilizzare quegli atti al fine di distruggere un gruppo nazionale, razziale, etnico o religiosi in quanto tale. Chi dice “atti genocidari” vuole forse sottolineare soprattutto il primo elemento. Ma perché vi sia genocidio occorre che vi sia (e che venga provata in giudizio) la presenza di entrambi. Ed è solitamente la “mens rea” quella piùdifficile da dimostrare
Antonio Marchesi è Professore di Diritto internazionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Teramo ed è stato dal 1990 al 1994 e dal 2013 al 2019 Presidente di Amnesty International con cui continua a lavorare
Riccardo Noury è dal 2003 portavoce di Amnesty International Italia e cura l’edizione italiana del rapporto annuale dell’organizzazione per la difesa dei diritti umani di cui fa parte dal 1980. Collabora con l’Atlante delle guerre dalla sua fondazione
In copertina, la Corte Internazionale di Giustizia on Olanda