di Maurizio Sacchi
L’invasione di Taiwan è vicina? Da anni il continuo ripetersi di esercitazioni navali e di sconfinamenti nello spazio aereo dell’isola ha dato l’impressione che la politica di Pechino nei riguardi della sua “provincia ribelle” consistesse nel mostrare i muscoli per sottolineare il suo diritto a unificarla con la Cina continentale, ma di lasciare Taiwan nel suo stato di autonomia, purché non insistesse nel richiedere l’indipendenza. Ma negli ultimi tempi il quadro é mutato. Le missioni aeree cinesi nella zona di identificazione di difesa dell’isola sono cresciute da meno di 10 al mese di cinque anni fa a oltre 245, e la presenza di navi da guerra intorno alle coste taiwanesi. Il 21 e il 27 maggio ha schierato rispettivamente quasi 60 e più di 70 navi, tra cui fregate lanciamissili, cacciatorpediniere e imbarcazioni della guardia costiera. L’ipotesi di una invasione imminente si fa strada: Secondo l’intelligence americana, il presidente Xi Jinping avrebbe fissato al 2027 l’obiettivo per rendere possibile un’eventuale invasione. Secondo alcuni funzionari di Taipei segnalano che all’Esercito popolare cinese basterebbe un “tempo minimo di conversione” per avviare un’operazione offensiva, grazie alla vicinanza delle forze anfibie alle basi di imbarco e all’impiego capillare del sistema missilistico PCH-191. Inoltre, tra le unità navali del Pla vi sono portaelicotteri da cui possono essere lanciati massicci invii di forze terrestri d’assalto direttamente nel cuore dell’isola.
In questo clima, ha destato scalpore e allarme un video pubblicato sul social RedNote o Xiaohongshu, la piattaforma di lifestyle con sede nella Cina continentale, popolare anche a Taiwan, soprattutto tra i giovani. Nel video appaiono riprese aeree e analisi dettagliate di un’importante base militare taiwanese, primi piani della pista della base, con dettagli sulle procedure operative, nonché sui suoi 46 rifugi antiaerei, e dettagli sullo schieramento dei tre squadroni di stanza nella base aerea, la posizione dei suoi caccia F-16V e F-5E, Il video è stato caricato da un blogger militare da un indirizzo IP di Pechino il 21 maggio, il giorno dopo il discorso del leader taiwanese William Lai Ching-te per celebrare il suo primo anno di mandato. Lai é considerato un indipendentista, e come tale inviso a Pechino.
Altri segnali di tensione vengono dalle Filippine e dagli Stati uniti. Su alcune isole dell’arcipelago, tra cui Batan, è stato installato il Navy-Marine Expeditionary Ship Interdiction System (Nmesis), un sistema missilistico anti-nave, con lo scopo di fare da deterrente contro la presenza militare cinese nella regione. Batan è montagnosa, e poiché Nmesis é semovente, sarà difficile da individuare. Inoltre è vicina a Taiwan, e quindi le due isole possono costituire un collo di bottiglia che rallenti la mobilità della marina militare della Cina.
Oltre alla guerra tradizionale, Taiwan é coinvolta anche sul fronte delle guerre commerciali. In particolare queste investono il settore cruciale dei microchip, di cui l’isola al momento produce il 60 percento globale, e soprattutto il 90 percento di quelli a più alto contenuto tecnologico: elementi indispensabili non solo nel campo dei computer, ma in realtà della economia e delle comunicazioni del Pianeta. Poiché Taiwan é stata punita dai dazi Usa come tutti gli altri Paesi che vantano un surplus commerciale con gli Stati uniti, al rischio derivante da una possibile presa con le armi da parte cinese si aggiunge quello derivato dalla politica aggressiva di Washington sui commerci. La TSMC, società taiwanese leader indiscusso nella produzione di microchip, ha avvertito che i futuri dazi statunitensi sulle importazioni di semiconduttori potrebbero minacciare la domanda globale di chip e compromettere il suo importante investimento in Arizona.”Qualsiasi misura adottata dall’amministrazione non dovrebbe ‘danneggiare’ gli obiettivi politici di sicurezza del governo statunitense, che includono la produzione avanzata di semiconduttori di TSMC in Arizona”, ha dichiarato l’azienda. Si tratta di un progetto da 65 miliardi di dollari che coinvolge tre stabilimenti all’avanguardia a Phoenix.A marzo, TSMC ha impegnato altri 100 miliardi di dollari per la sua espansione negli Stati Uniti. Il piano più recente include altri tre stabilimenti di produzione di componenti logici avanzati, due impianti di packaging e un importante centro di ricerca e sviluppo, portando l’investimento totale a 165 miliardi di dollari.L’azienda ha però affermato che i chip avanzati prodotti in Arizona devono operare a stretto contatto con semiconduttori e componenti tradizionali provenienti da altre regioni. “Le nuove restrizioni all’importazione potrebbero compromettere l’attuale leadership degli Stati Uniti nel competitivo settore tecnologico e creare incertezze per molti progetti di investimento nel settore dei semiconduttori negli Stati Uniti.
In conclusione, considerando il fatto che Pechino detiene già un quasi monopolio sui derivati delle terre rare, se decidesse di prendere Taiwan con la forza, si troverebbe a controllare anche la quasi totalità dei microchip avanzati, con conseguenze difficili da immaginare sull’intera comunità del Pianeta. E se l’amministrazione di Washington insiste su questa linea nel campo dei dazi rischia di paralizzare la propria industria di punta, e anche di veder fallire il proprio tentativo di portare nel proprio territorio la produzione di microchip, come spiega il comunicato di TSMC. E Taiwan potrebbe diventare il vero fronte caldo nel confronto tra le due superpotenze.
Nell’immagine, il Mar Cinese Meridionale, da wikipedia