La resa dei conti di un passato disumano

Lo Stato di Bosnia ed Erzegovina in futuro dovrà risarcire le donne vittime degli stupri sessuali subiti durante la guerra dal 1992 al 1995

di Edvard Cucek

Il caso è partito e potrebbe diventare “Il Precedente” dopo che una donna bosniaca stuprata nel 1993 nei dintorni di Sarajevo da un soldato serbo bosniaco, di cui l’identità è stata accertata, si è rivolta all’Onu. Dopo aver fatto il ricorso contro la decisione precedente del tribunale la vittima ha ottenuto il diritto di essere risarcita. Non potendo riscuotere la somma di denaro pari ai 15.000 euro direttamente dalla persona colpevole (il criminale risulta nullatenente) la decisione dell’apposito Comitato contro le torture delle Nazione Unite, ancora ufficiosa, è di obbligare lo Stato a risarcire i propri cittadini-vittime per poi “regolare i conti” con chi ha commesso il crimine o altro. Inoltre il Comitato dell’ONU contro le torture ha intenzione di stabilire un piano grazie al quale lo Stato bosniaco sarà invitato oltre a risarcire le donne violentate anche a offrire loro adeguati sostegni psicologici e le cure mediche laddove necessario. Proprio come prevede la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (RS 0.105) adottata nell’Assemblea generale Onu il 10 dicembre del 1984.

Lo stesso Comitato respinge in modo ferreo qualsiasi voce sulla possibilità della prescrizione di questi crimini come un ostacolo insuperabile per restituire alle vittime la loro dignità. E come strumento per aiutare tutte le donne che in futuro vorranno rivolgersi alle istituzioni si è già offerta la Ong “Trial International” la quale ha già sostenuto il primo caso ed è grazie a loro che se la causa è andata così lontano. «Consideriamo questa decisione rivoluzionaria, non solo per la Bosnia, ma anche a livello globale perché l’Onu ha preso una decisione di grande portata sulla denuncia di una vittima di violenza sessuale», ha detto al giornale WEB “Faktor” Adrijana Hanušić Bećirović, consulente legale di questa organizzazione non profit che si batte contro l’impunità in ambito internazionale.

La ministra dei diritti umani e dei rifugiati della Bosnia Saliha Djuderija ritiene che i casi delle violenze sessuali in Bosnia ed Erzegovina degli anni Novanta potrebbero essere anche 20.000. Pur ribadendo che questi crimini erano stati commessi da soldati di tutte le appartenenze, la sistematicità di usare le donne inermi come degli “strumenti di guerra” risulta evidente soprattutto quando si tratta, come p stato accertato, soprattutto delle formazioni militari serbo bosniache, con le quali si è arrivati a numeri elevatissimi. Questo argomento scottante, una volta messo in evidenza, farà in modo che lo Stato debba affrontare anche i figli nati dopo gli stupri e le violenze sessuali. Anche loro invisibili e ignorati, fascia debole di cui ogni società normale dovrebbe occuparsi con la dovuta attenzione.

Le associazioni che da anni cercano di aiutare queste donne, “sacrificate in guerra e in pace”, ingiustamente inascoltate per troppo tempo, auspicano una svolta rivoluzionaria. Di fronte a un numero di richieste di risarcimento in termini di denaro, difficile da dire però sicuramente alto, lo Stato bosniaco potrebbe impegnarsi di più nel trovare, processare e condannare i colpevoli ancora vivi e liberi ma che non vengono toccati “per non rovinare gli scarsi equilibri di stabilità della convivenza interetnica”. Anche se questi sono spesso dettati dalla politica dei partiti con prefisso nazionalista. In poche parole una volta arrivati ai “piccoli” esecutori spesso si arriva ai mandanti che ancora oggi ricoprono ruoli politici importanti a volte anche nella diplomazia internazionale.

In copertina: Foto di  Yang Jing su Unsplash. Nel testo la ministra Saliha Djuderija

 

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