La sporca storia del petrolio nigeriano

di Tommaso Andreatta

In Nigeria il 67% della popolazione – circa 112 milioni di persone – vive al di sotto della soglia di povertà di 1.90 dollari al giorno.

In Nigeria – che sta vivendo la peggiore crisi economica degli ultimi 25 anni –  sta per essere realizzata la più grande raffineria del mondo. Sorgerà nel 2019.



«Ancora in fase di costruzione a Lekki, vicino a Lagos, l’impianto avrà una capacità di 650.000 barili giornalieri, più di quanto attualmente prodotto dall’insieme delle quattro raffinerie in funzione nel Paese» scrive Nigrizia.

La Nigeria insomma vorrebbe puntare all’autosufficienza nel setttore del petrolio, che esporta in forma grezza. Il Paese è uno dei principali colossi petroliferi.

Ma lo Stato ha grosse carenze infrastrutturali e oggi dipende dall’estero: per soddisfare il fabbisogno energetico di 186 milioni di persone, deve importare carburante «al costo di circa 10 milioni di dollari al giorno». 

Il progetto dell’impianto di Lekki è nato nell’ambito di un programma lanciato dall’amministrazione del presidente Muhammadu Buhari, «volto a privatizzare l’industria di raffinazione, ad oggi gestita dalla compagnia di stato Nigerian National Petroleum Corporation (NNPC)».

Lo stato di salute dell’economia è pessimo. Il resto dei danni è prodotto dalla corruzione. Quella è considerata la causa principale delle carenze nell tre raffinerie di (tre nel Delta del Niger e una a Kaduna).

«Sarebbero almeno 28 (…) le aziende pronte a prendere in gestione le raffinerie esistenti, mentre ad aggiudicarsi il contratto di Lekki è stato l’imprenditore nigeriano Aliko Dangote. Uomo più ricco d’Africa, secondo il magazine Forbes, Dangote è il fondatore del complesso industriale Dangote Group, prima corporation africana nella produzione di cemento, con progetti di espansione che vanno dall’agribusiness alle telecomunicazioni. Ad Abuja sperano che il magnate possa risollevare le sorti di un’industria considerata strategica per ridurre la dipendenza dall’esportazione di greggio».

Il governo sembra intenzionato ad abolire i sussidi petroliferi. «Consentendo la vendita di carburante a prezzi inferiori rispetto a quelli internazionali, e rimborsando la differenza agli importatori, per decenni le autorità federali hanno fatto di tale politica una strategia di consenso. Il tutto però al costo esorbitante di 7 miliardi di dollari l’anno, da molti ritenuto una delle cause principali del sotto-finanziamento all’industria di raffinazione».

In Nigeria la partita del petrolio appare più aperta che mai. E sullo sfondo c’è uno scandalo diventato caso giudiziario oltre che giornalistico.

Un grande giacimento, che si chiama Opl 245 e si trova al limite meridionale del delta del fiume Niger a quasi duemila metri di profondità: 9 miliardi di barili di greggio, il più grande giacimento dell’Africa.

«Nel 2011 l’italiana Eni e l’anglo-olandese Royal Dutch Shell – racconta Marina Forti su Internazionale – hanno acquistato la concessione dell’intero blocco pagandola 1,3 miliardi di dollari. Ma quei soldi non sono andati nelle casse dello stato nigeriano, se non in minima parte. E ora quel contratto è oggetto di indagini giudiziarie in Nigeria, in Italia e nei Paesi Bassi.

La storia della licenza Opl 245 rivela qualcosa su una delle industrie più opache al mondo, quella dell’estrazione petrolifera. Protagonisti sono un ex ministro del petrolio nigeriano, accusato di aver sottratto i soldi versati dalle compagnie petrolifere; una ditta di facciata, la Malabu oil and gas, dietro a cui si nasconde lo stesso ex ministro; alcuni intermediari di varie nazionalità, affaristi, un paio di ex agenti del controspionaggio britannico».

Una parte del management Eni e Shell è accusata di essere stata perfettamente a conoscenza della destinazione finale del denaro dei pagamenti delle società. Ma i due giganti del petrolio hanno sempre respinto l’accusa..

«Su richiesta degli inquirenti, in gennaio l’alta corte federale nigeriana aveva revocato in via cautelativa la licenza del giacimento all’Eni e all Shell, che hanno fatto ricorso (il 17 marzo il sequestro è stato annullato). L’indagine continua, e la commissione presieduta da Ibrahim Magu ha annunciato che chiederà un risarcimento ai responsabili: si parla di una multa di due miliardi di dollari».

http://www.nigrizia.it/notizia/soffocanti-sussidi-di-stato/notizie

https://www.internazionale.it/notizie/marina-forti/2017/04/13/petrolio-nigeriano-eni-shell

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