di Ambra Visentin
Con l’esclusione della Federazione Russa dal Consiglio d’Europa il Kosovo disporrebbe della maggioranza necessaria alla propria ammissione nell’istituzione. Per la diplomazia tedesca questa decisione rappresenterebbe una presa di posizione fondamentale contro qualsiasi sovvertimento nella regione balcanica. Sembra di assistere al gioco delle sedie: la Russia resta in piedi e forse a sedersi sarà il Kosovo. Ora che la Serbia ha perso il suo principale alleato nel Consiglio d’Europa, l’ambìta poltrona nella principale organizzazione per la difesa dei diritti umani in Europa sembra finalmente alla portata del Kosovo. Fin dall’autoproclamazione di quest’ultimo a Stato indipendente dalla Serbia, il 17 febbraio 2008, la Russia si è sempre opposta all’ingresso della Repubblica balcanica nelle istituzioni internazionali, esercitando intense pressioni contro qualsiasi apertura in seno al Consiglio d’Europa. Ora però, con 34 Stati a favore su 46 membri, il Kosovo dispone di più dei due terzi di voti necessari per la propria ammissione.
Petrit Selimi, ex ministro degli esteri ad interim del Kosovo sottolinea l’importanza politica di un tale passo che permetterebbe in primis l’accesso alla Corte europea dei Diritti umani da parte dei cittadini kosovari. Non sarebbe inoltre nell’interesse della sicurezza e stabilità nei Balcani lasciare isolato il Kosovo. Già a marzo Frank Schwabe (SPD), capo della fazione Socialisti/Democratici/Verdi al parlamento federale tedesco, aveva avanzato la proposta di «avvicinamento del Kosovo all’Europa». In questo senso, il 22 aprile, in occasione di un incontro a Pristina con la Presidente del Kosovo Vyosa Osmani, il Presidente della Lettonia Egils Levits ha espresso forte interesse nello sviluppo delle relazioni tra i due Stati, sia a livello bilaterale che all’interno delle Istituzioni europee e transatlantiche, dichiarandosi favorevole all’ammissione dello Stato balcanico nel Consiglio d’Europa e ad una liberalizzazione dei visti con il Kosovo a livello di Unione Europea. Inoltre, discutendo della situazione della sicurezza in Europa con il primo ministro kosovaro Albin Kurti, le due parti hanno convenuto che «la guerra criminale della Russia in Ucraina richiede un rafforzamento dell’architettura di sicurezza europea al fine di garantire una pace duratura e prevenire future aggressioni». Sulla stessa linea di pensiero si esprime l’ex diplomatico tedesco Knut Abraham (CDU), esperto di Balcani e membro della Commissione Affari Esteri del Bundestag e dell’Assemblea parlamentare, il quale vede nell’ammissione del Kosovo in Consiglio d’Europa «l’opportunità di lanciare un messaggio e rendere chiaro che non verrà tollerato alcun cambiamento dei confini attraverso la violenza e ci sarà invece ulteriore lavoro per garantire la difesa delle minoranze e dei diritti umani».
Secondo il governo kosovaro il Paese si sarebbe evoluto in una democrazia dinamica e matura, che garantisce i diritti delle minoranze ed avrebbe preso una posizione decisa sulla questione ucraina, sostenendo le sanzioni alla Russia e accogliendo i rifugiati. Sarebbe, in poche parole, pronto ad entrare in una nuova fase a livello internazionale, l’ammissione in Consiglio d’Europa e, forse, in Unione europea. Per quanto riguarda quest’ultima i punti interrogativi sembrano essere molti e la strada ancora incerta. La guerra in Ucraina, infatti, ha allungato la shortlist dei Paesi da “integrare urgentemente”: oltre ad Albania, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia, Kosovo, Bosnia-Erzegovina, che da anni aspettano nell’anticamera dell’Unione, il progetto ora si estende alle tre ex repubbliche sovietiche di Ucraina, Georgia e Moldavia. Tuttavia, un allargamento urgente non sarebbe possibile. «Si rende necessaria una profonda ristrutturazione dell’Unione Europea», ha dichiarato il mese scorso Clément Beaune, segretario di Stato francese per gli affari Europei.
In copertina: Pristina