di Elisa Calamandrei, Asia Leone, Sofia Abdel Rahman, Lorenzo Sordi*
“Il mio sogno era quello di diventare una dottoressa o una farmacista, di prendermi cura della bellezza e dei cosmetici. Ma invece sono finita in politica e sono diventata un’attivista e chiedo i diritti fondamentali per le persone,” racconta Gulistan (che ha deciso di non condividere il cognome per motivi di sicurezza), giovane di 30 anni, il suo nome in Kurdo significa “terra dei fiori”. Gulistan è partita dalla Siria settentrionale nel febbraio del 2023 e la sua storia è simile a quella di milioni di persone, che hanno visto la loro vita cambiare radicalmente dall’inizio della crisi. Un aspetto spesso trascurato della lunga guerra siriana è proprio il ruolo dell’acqua. Come per milioni di migranti, la vita di Gulistan ha subito una svolta radicale dall’inizio del conflitto, iniziato nel 2011, quando venivano trasmesse in televisione le prime manifestazioni delle rivolte arabe contro il governo di Bashar al-Assad, a capo del Paese dal 2000.
Le guerre per l’acqua causano ogni anno 19 milioni di emigranti in tutto il Mondo. Tra i territori più colpiti c’è proprio la Siria, a causa del conflitto, che dal 2011 affligge la regione e costringe milioni di persone a fuggire per mancanza di servizi di prima necessità, come l’acqua potabile e per la distruzione di infrastrutture. “L’acqua”, spiega Paolo Maggiolini, ricercatore e docente dell’Università cattolica del Sacro Cuore, “è stata sfruttata per finanziare operazioni militari, destabilizzare regioni occupate da gruppi rivali e per controllare la popolazione civile. Ma la questione idrica è legata a questioni più ampie, come la dipendenza energetica, le sanzioni economiche e le rivalità politiche coinvolte nel conflitto”.
La distruzione delle infrastrutture idriche, a detta del ricercatore, è stata infatti usata come vera e propria arma di guerra anche fino a poche settimane fa. “Oltre agli effetti della guerra”, continua Maggiolini “in questi territori l’aspetto meteorologico non ha giocato a favore di questa popolazione: possiamo infatti evidenziare come ci sia un nesso causa-effetto tra le siccità avvenute prima del 2011 e le rivolte dello stesso anno, in quanto il governo non ha saputo distribuire in modo equo le risorse idriche”. La scarsità d’acqua, la desertificazione, la riduzione dell’umidità del suolo e il riscaldamento del Mediterraneo orientale hanno spinto molte persone a migrare dalle aree rurali verso le città, aumentando la pressione sui servizi pubblici e aggravando la crisi umanitaria.
A più di un decennio dall’inizio della guerra, la situazione in Siria rimane estremamente complessa. Il Paese è stato teatro di guerre per procura, con diverse potenze estere che si sono scontrate sul territorio siriano, senza mai riuscire a stabilizzare il Paese. “Non vi è mai stato un intervento stabilizzatore” aggiunge il professore, “Al contrario, ogni intervento si è sempre rivelato destabilizzante, in quanto è rimasta attiva la logica della somma zero: ogni azione militare ha attirato inevitabilmente una reazione contraria, alimentando il conflitto invece di risolverlo”.
Anche per Gulistan la guerra ha significato un cambiamento radicale: il suo sogno di diventare una farmacista per prendersi cura della bellezza e dei cosmetici è stato spezzato, ma ha trovato una vocazione nella politica e nell’attivismo. Ha iniziato, infatti, a lavorare per le organizzazioni non governative in modo da aiutare la popolazione e lottare a favore dei diritti umani, una missione che l’ha portata a rischiare la vita più volte, in un contesto caratterizzato dalle violenze dell’ISIS e gli scontri tra le potenze regionali.
Dopo la destituzione di Bashar Al-Assad, la Siria post-conflitto è un paese sospeso tra macerie fisiche e divisioni politiche. Il fatto che molte scuole siano ancora utilizzate come rifugi per sfollati anziché come luoghi di istruzione è un simbolo della difficoltà di ricostruzione. Ma il problema non è solo infrastrutturale: riguarda anche il modo in cui il paese tenterà di ricostruire un senso di comunità e di convivenza. “Ogni volta”, racconta Gulistan “che dovevo tornare a casa, passavo per i checkpoint dell’Isis e dovevo rimanere con il volto coperto e noi donne dovevamo stare solamente accanto ad altre donne”.
La vera sfida sarà capire come verrà riorganizzato il potere politico siriano e se sarà possibile trovare un equilibrio tra le diverse componenti della società. In questo senso, la ricostruzione non sarà soltanto una questione economica, ma anche un test politico: scegliere quali scuole, ospedali e infrastrutture ricostruire e con quali criteri significherà stabilire chi verrà reintegrato nel futuro della Siria e chi rischierà di restarne ai margini. In particolare, l’accesso all’acqua rappresenta una delle sfide più urgenti: secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), circa il 50% della popolazione siriana continua a vivere in condizioni di scarsità d’acqua. Le infrastrutture idriche danneggiate durante il conflitto sono un ostacolo significativo.
Secondo l’Unicef, circa 9,3 milioni di persone in Siria dipendono da fonti d’acqua che sono state compromesse e, sempre secondo l’Onu, saranno necessari 500 milioni di dollari per ripristinare le principali infrastrutture idriche danneggiate o distrutte durante il conflitto.
In definitiva, le guerre per l’acqua rappresentano una delle sfide più critiche del nostro tempo, intrecciandosi con conflitti politici, crisi umanitarie e cambiamenti climatici. La storia di Gulistan è solo una delle tante delle testimonianze di come la vita possa cambiare drasticamente, spingendo le persone a reinventarsi in contesti di guerra, che coinvolgono anche le risorse.
Il caso siriano dimostra come la gestione dell’acqua è un potere di controllo e di potere; il professore Paolo Maggiolini afferma infatti come “In un contesto dove la guerra ha radici interne profonde, se non ci sarà la capacità di uscire da un passato di repressione, e sfruttare la finestra di opportunità per riconciliare le cose, la Siria rischia di rimanere sospesa in un limbo, dove l’accesso all’acqua diventa simbolo della divisione e della difficoltà di ricostruire un Paese lacerato”.
*Articolo realizzato dal gruppo studentesco nell’ambito del progetto ‘Cercare la pace in un mondo in conflitto’ svolto al liceo G.Pascoli di Firenze