“L’America agli americani”

Analisti e osservatori ritengono  che stiamo assistendo al ritorno di una visione politica del Sudamerica che risale a ormai due secoli fa: la “Dottrina Monroe”

di Maurizio Sacchi

Secondo alcuni osservatori stiamo assistendo al ritorno di una visione politica dell’America latina che risale a ormai due secoli fa: la “Dottrina Monroe”. Che, riassunta in una formula sintetica ma chiara, recita : “l’America agli americani”. E non alle potenze coloniali europee: così la intendeva James Monroe, quinto presidente degli Stati uniti. Questa dottrina fu presentata nel suo messaggio al Congresso del 2 dicembre 1823: in essa Monroe proclamò che le Americhe dovevano essere libere da future colonizzazioni europee. Dichiarò inoltre l’intenzione statunitense di rimanere neutrale nelle guerre europee e nelle guerre tra le potenze europee e le loro colonie, ma di considerare ogni nuova colonia o interferenza con nazioni indipendenti nelle Americhe come un atto ostile nei confronti degli Stati Uniti. Questa politica rimase il cardine delle relazioni internazionali di Washington fino alla Prima guerra mondiale.

Una sorta di aggiornamento della dottrina Monroe si ebbe con Yalta e la Guerra fredda che seguì la Seconda guerra mondiale. Le Americhe rientravano, nel nuovo ordine mondiale, nell’area occidentale. Di fatto, nell’area di egemonia politica, economica e militare degli Usa. E non erano ammesse interferenze da parte sovietica, come non lo sarebbero state, sull’altro lato della Cortina di ferro, ingerenze occidentali nelle crisi ungherese del 1956 e cecoslovacca del 1968, che videro rivolte contro il controllo di fatto da parte dell’Urss. E mentre in Ungheria e Cecoslovacchia le rivolte venivano soffocate nel sangue, in modo simile e senza che la comunità andasse oltre alle proteste, in Cile veniva deposto e ucciso Salvador Allende, eletto a capo di un’alleanza social-comunista; in Argentina, Uruguay, Colombia, e in realtà in quasi tutta l’America latina gli oppositori venivano sequestrati, torturati e uccisi in massa da regimi filo americani e in gran parte dittatoriali.

Ha sempre fatto eccezione Cuba, che dopo essere stata parte integrante del blocco sovietico fino al suo collasso, ha dimostrato in questi decenni di isolamento la solidità del proprio modello. Vi è però da tenere in conto la guerriglia di ispirazione marxista, , diffusa in varie forme in tutta l’America ispanica, che ha trovato nelle ingiustizie sociali e nella violenza di regime terreno fertile. Fenomeno appoggiato. e in parte generato proprio da Cuba, e dalla dottrina di Ernesto “Che” Guevara, che predicava il sorgere di “10, 100, 1000 Vietnam”. Per decenni, guerre civili vere e proprie hanno dilaniato il Guatemala e il Salvador, il Nicaragua, la Colombia, il Perù, e altri Paesi ancora. Senza che questi movimenti riuscissero però a raggiungere il potere. Vigilava su tutto il processo Washington, specialmente con la linea dettata da Henry Kissinger, che non faceva mistero del suo appoggio al golpista Pinochet, e del suo assenso alla guerra sucia in Argentina, a guerra sporca che vide decine di migliaia di desaparecidos, specie fra i Montoneros.

Con la fine della guerriglia in buona parte del continente, e l’attenzione degli Usa rivolta altrove, l’America latina pareva aver trovato una sua dimensione indipendente dal grande fratello del Nord. Nel novembre 2013, l’ex Segretario di Stato americano John Kerry in un discorso all’Organizzazione degli Stati americani (OAS), il forum regionale più antico del mondo, annuncia: ”L’era della Dottrina Monroe è finita”. Gli effetti di questo mutamento sono evidenti: in Brasile il governo Lula; in Cile una democrazia di alternanza, ma sostanzialmente funzionante; il governo della dinastia peronista “di sinistra” Kirchner in Argentina; il processo di pace portato faticosamente a termine in Colombia, oltre ai casi più radicali della Bolivia di Evo Morales e del Venezuela chavista. In molti casi, un orientamento social-democratico nelle politiche sociali sembrava accompagnare questa ritrovata indipendenza. Ora questi equilibri sono saltati, con la crisi economica che intacca le politiche sociali quasi ovunque, e un mutamento di rotta dell’amministrazione americana, di cui Donald Trump, e i falchi Pompeo e Bolton sono i portatori

Lucia Newman ha scritto su Al Jazeera che “Trump fa rivivere la dottrina Monroe come monito per la Cina e la Russia. Donald Trump ha definito la dottrina Monroe la “politica formale” degli Stati Uniti in un discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite lo scorso settembre”. La Cina e la Russia non possono che evocare il caso del Venezuela, dove pesanti investimenti delle due potenze orientali hanno sostenuto il governo di Maduro, in cambio di concessioni sulle ricche riserve petrolifere del Paese caraibico. Una mossa non solo dettata da interessi economici, poichè si è creata di fatto una sorta di area di influenza omogenea fra Cuba, Nicaragua e Venezuela, che con patti di fornitura di petrolio a prezzi favorevoli include anche Haiti. E che vede la presenza di capitali e interessi di Pechino e di Mosca, sostenuta anche dalla presenza in Venezuela di circa 200.000 militari cubani. E’ contro questa insidia portata nel proprio “backyard”, il cortile di casa, che l’amministrazione al potere a Washington ha riesumato una dottrina, nata per combattere il colonialismo, ma che da tempo è vissuta dai governi e dalle opinioni pubbliche latinoamericani come un assegno in bianco per gli Stati uniti, per intervenire a propria discrezione su tutto il Nuovo mondo.

Nelle immagini d’epoca James Moore (in copertina durante l’enunciazione della “dottrina”) e una vignetta tratta da un sito filocubano che equipara la sua dottrina al pensiero di Trump

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