Le promesse di Blinken in Africa

Le promesse fatte dal Segretario di Stato statunitense durante la sua visita nel Continente riflettono il tentativo di Washington di rafforzare la sua presenza e contenere la crescente influenza russa nell’area

di Marta Cavallaro

Si è conclusa il 17 marzo la visita del Segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, in Africa. Il numero uno della diplomazia Usa si è diretto prima in Etiopia, dove ha avuto modo di incontrare il Primo Ministro etiope, Abiy Ahmed, e il Presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki Mahamat. Al centro della visita ad Addis Abeba, l’implementazione dell’accordo di cessate il fuoco, che lo scorso novembre ha posto fine alla guerra civile tra le forze governative etiopi e i ribelli nella regione del Tigrai.

Al termine dei colloqui con le autorità etiopi, Blinken ha annunciato un nuovo pacchetto di aiuti umanitari del valore di 331 milioni di dollari, che “aiuteranno la popolazione colpita dal conflitto, dalla siccità e dalla sicurezza alimentare attraverso la forniture di servizi chiavi, come cibo, alloggio, acqua potabile, assistenza sanitaria e istruzione”. Il dollaro rimane uno strumento chiave per migliorare le relazioni tra i due Paesi, che si erano visibilmente deteriorate all’indomani delle critiche e alle misure adottate da Washington per punire il Governo di Abyi Ahmed per le presunte atrocità commesse dalle forze etiopi e dai loro alleati durante il conflitto.

Per salvare la faccia, Washington ha ribadito limportanza di rendere conto delle atrocità perpetrate da tutte le parti durante il conflitto, dimenticando che Addis Abeba continua ancora a negare di aver commesso crimini di guerra e gravi violazioni di diritti umani. E, nonostante ai piani alti si parli già della necessità di porre basi solide per una pace duratura e sostenibile, secondo diversi operatori umanitari e organizzazioni a difesa dei diritti umani gli abusi sono continuati nel Tigrai anche dopo la firma dell’accordo. Le truppe eritree rimangono dispiegate in diverse aree del confine e le milizie della vicina regione Amhara occupano ancora vaste aree di territorio nelle zone contese del Tigrai occidentale e meridionale.

Nella sua seconda tappa in Africa, Blinken si è poi diretto in Niger. Si tratta della prima volta che un Segretario di Stato statunitense visita il Paese e il tempismo non coglie di sorpresa. Negli ultimi mesi il Niger è emerso come partner chiave degli Stati Uniti e degli alleati europei nel Sahel, all’indomani dei colpi di stato in Mali e in Burkina Faso e della crescente influenza della Russia nella regione. Il Niger ospita oggi la maggior parte delle truppe francesi espulse prima dal Mali ad agosto e poi dal Burkina Faso il mese scorso. In entrambi i Paesi, la ritirata di Parigi è stata segnata da tensioni diplomatiche e dall’insofferenza della società civile nei confronti dell’Occidente, accusato di non essere riuscito a contenere le insurrezioni jihadiste e di preservare un’attitudine neocolonialista nei confronti dell’Africa.

Per colmare il vuoto lasciato dalla Francia, la giunta militare maliana si è rivolta alla Russia: mercenari appartenenti al gruppo privato Wagner operano nel Paese ormai da mesi con segni evidenti del loro coinvolgimento in gravi violazioni dei diritti umani. Sulle orme del Mali, anche il Burkina Faso sembra avvicinarsi sempre di più alla Russia di Vladimir Putin. Anche se la giunta burkinabé continua a smentire le voci sul possibile coinvolgimento dei mercenari della Wagner nel Paese.

Durante il suo colloquio con il Presidente del Niger, Mohamed Bazoum, Blinken ha annunciato una serie di iniziative statunitensi a sostegno del Sahel. Tra queste spiccano i 150 milioni di dollari di aiuti umanitaria promessi alla regione. Il segretario di Stato Usa ha dichiarato che gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali devono dimostrare di poter ottenere risultati nel Sahel e ha promesso un approccio più “globale”, che si concentri sulla sicurezza ma anche sul buon governo, sullo sviluppo, sulla creazione di opportunità e sulla capacità di rispondere alle esigenze delle persone.

Queste dichiarazioni risuonano all’indomani della recente pubblicazione del nuovo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo sulle radici dell’estremismo in Africa. L’analisi condotta dall’ONU dimostra che le cause di fondo dell’estremismo in diversi Paesi africani sono da ricondurre alla mancanza di opportunità economica e alla sfiducia nei confronti del governo e delle istituzioni pubbliche. Tali risultati mettono in luce la miopia dell’intervento occidentale nel Sahel, rimasto storicamente concentrato sulla sfera militare, nonostante alle radici della diffusione dell’estremismo ci siano problemi strutturali di diversa natura (sociali, ma anche politici ed economici).

Le visite e le promesse statunitensi all’Africa dimostrano come il Continente sia attualmente al centro dei riflettori e degli interessi di vecchi e nuovi attori. Non è difficile immaginare il perché. Entro il 2050, gli africani saranno il 25% della popolazione mondiale: in altre parole, sono la futura forza lavoro di un mondo in cui in molti Paesi i cittadini stanno invecchiando rapidamente. Il Continente ospita poi la seconda più grande foresta pluviale e importanti risorse minerarie che, fondamentali per le tecnologie delle energie rinnovabili, garantiranno un futuro sostenibile al nostro pianeta. Infine i Paesi africani rappresentano il più grande blocco delle Nazioni Unite: insieme costituiscono circa il 28% dei voti. Gli Stati Uniti, così come l’Europa, la Russia e la Cina, sono così soltanto uno dei tanti attori nel vasto panorama di offerte e opportunità che l’Africa valuta quotidianamente.

Nella foto in copertina, il Segretario di Stato Usa Antony Blinken (© Rouibu/Shutterstock.com)

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