L’escalation di guerra di Israele arriva a Palazzo Chigi

Il ministro della Difesa Crosetto affronta in queste ore la sorte di 1.200 militari italiani della “fallimentare” missione UNIFIL nel sud del Libano, rintanati da giorni nei bunker sotterranei, mentre fuori infuria la battaglia contro Hezbollah. Intanto, la Meloni vuole chiedere all’ONU di incrementare quell’iniziativa di peacekeeping che va avanti senza risultati concreti da quando è nata la premier

di Alessandro De Pascale

Al Consiglio dei Ministri tenutosi mercoledì a Roma è stata una giornata impegnativa sul fronte internazionale per la premier italiana Giorgia Meloni, nata nel 1977 a Roma nel quartiere ‘rosso’ della Garbatella, dove la leader di Fdi e sua sorella Arianna sono cresciute. Fin dal mattino, la prima premier donna della storia d’Italia, che ha espressamente chiesto di essere chiamata “il presidente”, a suo dire invocando libertà relative al genere, per i suoi detrattori in una visione del potere ritenuta emanazione unicamente maschile, stava seriamente facendo i conti con l’escalation della guerra in corso tra lo Stato di Israele e i suoi nemici regionali. O meglio, sugli effetti che il conflitto in corso in Medioriente sta avendo sul Paese che la Meloni sta governando dal 22 ottobre 2022, alla guida del governo più a destra della storia repubblicana dell’Italia unita.

Fin dalle prime ore di quel martedì, il ministro della Difesa Guido Crosetto, era nuovamente alle prese con la United Nations Interim Force in Lebanon (UNIFIL), la forza internazionale di peacekeeping dell’ONU nata nel 1978 per monitorare il ritiro dal Libano meridionale dell’allora occupante israeliano. Nell’ambito di quella missione sono schierati a sud del Libano 1.200 soldati italiani, numero secondo solo a quello indonesiano sulle 46 nazioni che partecipano. Se prima quei militari stranieri erano in prima linea nel cercare di smilitarizzare il confine e creare una “zona cuscinetto” tra Hezbollah e lo Stato ebraico, ora si trovano loro malgrado in un’area di guerra. Con i loro cari e le loro famiglie molto preoccupati e intenti in queste ore a fare pressione sullo Stato maggiore delle forze armate italiane.

Quando sul tavolo dell’attuale Presidente del consiglio italiano arriva il dossier Libano/UNIFIL, l’urgenza è già massima: “Allerta 2”, il penultimo livello prima dell’evacuazione immediata dell’intero contingente schierato all’estero. Tanto che la Meloni, nella mattinata di mercoledì, prova a giocarsi la carta della diplomazia: in qualità di presidente di turno del G7, avvia un call con i suoi omologhi di Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Francia. Dove il presidente Emmanuel Macron, nel voler cercare di gestire in autonomia per ragioni storiche la questione Libano, non prende la chiamata e passa la palla al sua ministra degli Esteri, Stéphane Séjourné. Per il quotidiano il manifesto una continua “girandola di incontri e telefonate ai massimi livelli nazionale e internazionale”. Al termine dei quali nel comunicato finale si parla di soluzione diplomatica, con l’Italia e l’Europa “spettatrici impotenti della crisi”.

Sempre quel giorno, il ministro della Difesa italiana Crosetto, è invece alle Commissioni Esteri e Difesa della Camera dei Deputati, davanti alle quali va ad ammettere, senza troppi giri di parole, che la missione UNIFIL dell’ONU si è rivelata fallimentare: “Sia Hezbollah, sia Israele, negli anni hanno costantemente disatteso la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che autorizza unicamente la presenza delle forze armate di UNIFIL e dell’esercito libanese nell’area tra il fiume Litani e la Blue Line”, dichiara senza mezzi termini il ministro della Difesa italiano al Parlamento.

Nell’area libanese in questione, non controllata dalle Forze Armate Libanesi come si prefiggeva l’ONU, non solo sono rimasti soltanto gli uomini di Hezbollah, ma a quanto è dato sapere anche le armi in loro possesso che ora Israele cerca di distruggere, sono transitate sotto gli occhi di UNIFIL, senza che loro potessero far nulla. Una cosa gravissima, fosse confermata. Il fallimento di questa missione delle Nazioni Unite, ha dichiarato mercoledì Crosetto davanti ai deputati delle commissioni parlamentari competenti, “è avvenuto sfruttando il fatto che UNIFIL può operare solo in coordinamento con le Forze armate libanesi e non è potuto intervenire a causa della fragilità dell’esercito libanese”.

Se dal canto loro il governo italiano e la Meloni parlano ora della richiesta che l’italia si dice pronta a rivolgere al Palazzo di Vetro di New York, per ampliare il mandato di UNIFIL, i dati e la realtà dei fatti non sono dalla loro parte. Perché da un lato c’è il ministro della Difesa Crosetto, il quale prima di confermare davanti al Parlamento il fallimento di questa missione ONU, martedì aveva pubblicamente dichiarato al quotidiano La Repubblica: “Sono antifascista, lo sono sempre stato. Non piaccio a molti di destra. Schlein? Mi pare per bene”, riferendosi alla capa dell’opposizione, che guida il Partito Democratico (PD) dal 12 marzo 2023.

Il tutto da un politico che nel 2012, assieme alla Meloni e Ignazio La Russa (attuale Presidente del Senato) ha fondato il partito Fratelli d’Italia, nato sulle ceneri di quell’Alleanza Nazionale andata con loro al governo con Berlusconi sotto la guida di Gianfranco Fini (delfino di Pino Rauti, storico segretario del Movimento Sociale Fiamma Tricolore). Ovvero del primo partito fascista della Storia della Repubblica Italiana, la quale vieta nella propria Costituzione si dichiara anti-fascista, vietandone qualsiasi apologia.

Figlio di una famiglia di industriali piemontesi, percorso universitario in città interrotto per iscriversi alla Democrazia Cristiana, nel 2020 l’attuale ministro della Difesa Crosetto si prende una pausa della politica per darsi alle armi di Stato: nominato presidente di Orizzonte Sistemi Navali (OSN), impresa creata come joint venture tra Fincantieri e Leonardo specializzata in sistemi ad alta tecnologia per le navi militari e di gestione integrata dei sistemi d’arma. Stessa cosa nel 2014, quando viene nominato presidente della Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (AIAD) di Confindustria e Senior Advisor ancora del gruppo Leonardo: il colosso dello Stato italiano del settore aerospazio e difesa che sulle ceneri dello scandalo tangenti della precedente Finmeccanica nel 2016.

Ora da ministro della Difesa, a fargli le pulci sulla vendita di sistemi d’arma italiani a Israele, nonostante lo Stato ebraico stia combattendo tutti i suoi nemici nella regione, venendo accusata di crimini di guerra davanti all’ONU, c’è il portale web sulle alternative economiche Sbilanciamoci. Che ha pubblicato ben due inchieste sul tema. La prima del 13 marzo sulle forniture per i caccia con la stella di David, la seconda del 27 febbraio sulle armi e munizioni esportate (entrambe basate su dati ISTAT).

Nella foto in copertina, il ministro della Difesa, Guido Crosetto (di Alessia Pierdomenico/Shutterstock.com)

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