Libia: l’embargo violato

L'inviato speciale Onu denuncia la vendita di armi ai due schieramenti, mentre Guterres sottolinea l'atteggiamento ambivalente dell'Ue sui controlli via mare

L’embargo di armi alla Libia non è stato e continua a non essere rispettato. E’ dura l’accusa che Ghassan Salamè l’inviato speciale dell’Onu in Libia, rivolge al mondo nella sua relazione al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ghassan Salamé ha parlato al Consiglio martedì 21 maggio, facendo il punto della situazione nel Paese, dove sono ripresi gli scontri, i più violenti dal 6 maggio, inizio del Ramadan. A sud della capitale, in particolare il quartiere di Salahedin, sono stati infatti sparati colpi di artiglieria pesante. Secondo l’inviato, infatti, il mancato rispetto dell’embargo aumenta “il forte rischio di una lunga e sanguinosa guerra civile che porterà a una insanabile frattura del Paese”.

L’inviato speciale ha affermato che molti Paesi stanno fornendo armi sia al governo di Accordo nazionale (Gna) riconosciuto dalle Nazioni Unite a Tripoli, sia alle forze guidate dal generale Khalifa Haftar. L’embargo alla Libia era stato imposto Consiglio di sicurezza dell’ONU fan dal 2011, anno dell’uccisione del governatore Muammar Gheddafi. Anche il numero uno delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha espresso “profonda preoccupazione” per l’arrivo di armi anche dal mare.

In particolare l’Onu rileva l’atteggiamento ambivalente dell’Unione Europea che ha sì esteso il mandato della missione navale ma ha allo stesso tempo ridotto la sua presenza nell’area. “In marzo – ha detto Guterres – i Paesi dell’Unione europea hanno esteso il mandato della missione navale ma hanno preso la singolare iniziativa di limitare le operazioni rifiutando di consentire il dispiegamento di unità navali”.Durante il suo discorso Salamé ha esortato il Consiglio di Sicurezza ad istituire una commissione di inchiesta per “determinare chi ha preso le armi” e impedire che i sospettati di crimini di guerra prendano parte a operazioni militari.

Alcuni crimini di guerra sono stati già infatti rilevati. Uno di questi è stata l’interruzione delle forniture di acqua a Tripoli per due giorni, dopo che alcuni uomini armate avevano interrotto la fornitura, costringendo i lavoratori del “Grande fiume artificiale”, l’acquedotto libico che rifornisce la città, a chiudere i rubinetti. Altre fattispecie riguardano poi le segnalazioni di attacchi contro personale medico.

L’inviato Onu segnalava che sono 100mila le persone intrappolate nell’area di conflitto nella capitale libica. Dal bilancio che ha fornito risultano 460 morti, di cui 29 civili, oltre 2.400 feriti e 75mila sfollati. L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari (Ocha), nell’aggiornamento del 17 maggio, ha rilevato che “la situazione umanitaria continua a peggiorare come risultato diretto del conflitto armato dentro e nei dintorni della capitale” e che “l’uso di armi esplosive in aree abitative, quali come tiri di artiglieria e bombardamenti aerei continua a causare vittime civili”. Nelle scorse settimane, Salamé aveva dichiarato che ci sono stati in media cinque attacchi notturni sulle posizioni GNA da parte di “aeromobili sconosciuti”.

Uno dei pericoli sono poi sempre le infiltrazioni terroristiche, a partire dal gruppo Stato Islamico e al-Qaeda, che potrebbero, come in altri casi, sfruttare il vuoto di sicurezza creato dalla guerra. La situazione in Libia resta dunque in continuo mutamento e sul filo del rasoio. Il mese scorso il Consiglio di sicurezza ha fallito l’accordo su un progetto di risoluzione che chiedeva un cessate il fuoco in Libia e un ritorno ai colloqui politici per porre fine al conflitto.

Un punto da non sottovalutare mai nella guerra libica è il petrolio. Entrambi i contendenti hanno interessi vitali nella questione, appoggiati dalle altre forze internazionali: Haftar punta su Sirte e i suoi giacimenti petroliferi, mentre Sarraj ha tentato più volte di interrompere la fornitura alla francese Total, per fare in modo che Parigi non sostenga più l’uomo forte della Cirenaica.

(di red/Al.Pi.)

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