L’Iran conferma l’obbligo del velo

Per il Ministero dell’Interno di Teheran è “uno dei fondamenti della civiltà della nazione iraniana”, nonché “della Repubblica islamica”

In Iran, il velo imposto alle donne fin dalla rivoluzione islamica del 1979 rappresenta “uno dei fondamenti della civiltà della nazione iraniana”, nonché “uno dei principi pratici della Repubblica Islamica”. E quindi per gli ayatollah resta un obbligo. Lo specifica una nota ufficiale diffusa ieri dal Ministero dell’Interno di Teheran, nella quale la popolazione viene inoltre avvertita che “non c’è stato e non ci sarà alcun ritiro o tolleranza nei principi e nelle regole religiose e nei valori tradizionali”. Come prevedibile, nessun passo indietro. Al contrario, si legge ancora nel dispaccio del dicastero, “l’hijab e la castità dovrebbero essere tutelate per rafforzare le fondamenta della famiglia”.

Sempre ieri, il Ministero dell’Istruzione e quello della Salute hanno annunciato che non saranno forniti servizi alle studentesse che “non si attengono al codice di abbigliamento delle scuole” (notizia diffusa dal portale di dissidenti iraniani Iran International). In estrema sintesi, significa niente istruzione per le ragazze che non indossano il velo a copertura dei capelli, come previsto dal diktat emanato quasi 45 anni fa dal governo iraniano. Nella Repubblica Islamica tale obbligo non è più soltanto una questione religiosa, ma uno scontro sociale e politico. L’Iran ha la percentuale di giovani tra le più alte al mondo, le ragazze frequentano la scuola primaria quasi quanto i ragazzi e le donne rappresentano circa il 50% dei laureati nel Paese.

La Repubblica Islamica è stata scossa dallo scorso settembre da imponenti e diffuse proteste di piazza. Su tutto il territorio nazionale si sono tenute in questi mesi grandi mobilitazioni, scaturite dalla morte di Mahsa Amini, una 22enne arrestata a Teheran dalla polizia morale perché a capo scoperto. Picchiata brutalmente, la giovane curdo-iranana è deceduta tre giorni dopo il suo fermo (il 16 settembre), riaccendendo la miccia del malcontento popolare provocato anche da una dura crisi economica e dalla diffusa corruzione.

Nelle diffuse e ampie proteste, secondo l’Human Rights Activists News Agency che promuove la difesa dei diritti umani in Iran, finora sarebbero morti almeno 530 manifestanti (di cui 71 bambini), mentre oltre 19.000 sarebbero stati arrestati, alcuni dei quali sono poi stati condannati a morte (con condanne rapidamente eseguite).

Il dissenso delle donne iraniane si è manifestato anche in scuole e università: le ragazze si sono tolte platealmente in segno di protesta l’hijab negli istituti e negli atenei, tagliandosi i capelli e gridando “morte al dittatore”, riferendosi alla massima autorità religiosa dal Paese, la guida suprema Ali Khamenei. Le autorità continuano inoltre a chiudere attività commerciali nelle quali dipendenti e clienti non indossano l’hijab. Oltre all’Iran, il velo è obbligatorio per le donne anche in altri Paesi intregralisti, quali l’Arabia Saudita, l’Afghanistan e lo Yemen (il burqa integrale), cui si aggiungono alcune nazioni africane.

Nella foto in copertina, studentesse iraniane (© Javarman/Stutterstock.com)

(Red/Est/ADP)

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