di Raffaele Crocco
La notizia vera, quella utile per capire la politica di annientamento di un popolo messa in piedi dal governo Netanyahu, viene da altrove, non da Gaza. Viene da Tel Aviv, dove il gabinetto di sicurezza israeliano si è riunito a porte chiuse e ha votato per approvare la creazione di 22 nuovi insediamenti in Cisgiordania. La politica israeliana di occupazione della terra altrui prosegue, nel silenzio quasi totale, almeno in Italia. Israele insegue la soluzione finale per i palestinesi, costringendoli ad andare altrove. E questo – dicono gli osservatori – nulla ha da vedere con la continuamente sbandierata “necessità alla difesa”.
La pensa così anche una parte dell’opinione pubblica israeliana. I giornali locali hanno dato la notizia che militari israeliani, sia riservisti, sia in servizio, stanno preparando una nuova lettera aperta. Chiedono al governo e al capo di Stato maggiore, Eyal Zamir, di mettere fine alla guerra a Gaza. “Questa guerra – scrivono – non serve alla sicurezza nazionale di Israele ed è quindi immorale”. L’appello è stato distribuito agli ufficiali e ha ricevuto finora circa 1.200 firme. “Continuare la guerra – sostengono – va contro la volontà della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica”. L’ex primo ministro Ehud Olmert, in un lungo articolo pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz, afferma che Israele sta commettendo crimini di guerra a Gaza e che “migliaia di palestinesi innocenti vengono uccisi, così come molti soldati israeliani”.
La partita, però, continua, sempre più dura per chi subisce – cioè i civili – e sempre più cinica per chi la combatte. Il Risiko planetario passa da Gaza anche attraverso il controllo degli aiuti umanitari e la loro gestione. La folla ha assaltato il centro di aiuti che statunitensi e israeliani avevano aperto per distribuire viveri. È stato il caos. Il sito era stato aperto dalla Gaza humanitarian foundation (Ghf) martedì 26 maggio. All’inizio tutto bene, file ordinate, poi è arrivato l’annuncio che avrebbe chiuso alle 17.30. È partito l’assalto della disperazione. Anziani, donne, bambini hanno tentato di prendere quello che potevano. L’esercito israeliano ha sparato in aria per fermare la folla. È stato il panico, per gente già terrorizzata da un anno e mezzo di bombardamenti.
La polemica è stata inevitabile e immediata. Jens Laerke, portavoce dell’Ufficio umanitario delle Nazioni Unite (Ocha), è stato durissimo. “Il lavoro dell’organizzazione umanitaria privata sostenuta dagli Stati Uniti, incaricata di distribuire aiuti a Gaza, è una distrazione da ciò che è necessario: l’apertura dei valichi”. La risposta del governo israeliano è stata immediata. Il capo del coordinamento israeliano per gli aiuti alla Striscia (Cogat), Rassan Alyan, ha accusato le Nazioni Unite di essersi astenute negli ultimi giorni dal compiere il proprio dovere e di “continuare invece a diffondere informazioni errate e fuorvianti sulle difficoltà umanitarie”. Ha spiegato che “oltre 400 camion di aiuti umanitari attendono di essere ritirati immediatamente dall’Onu, al valico di Kerem Shalom”.
Parole dure, ma resta la realtà dei valichi da riaprire. Una scelta che il governo Netanyahu non ha alcuna intenzione di fare. Nel Mondo, molti Paesi stanno abbandonando la linea di appoggio a Tel Aviv in maniera sempre più evidente. Il governo irlandese, ad esempio, ha approvato un progetto di legge per bandire l’importazione di beni dagli insediamenti israeliani. Verranno considerati illegali secondo la legge internazionale, che condanna l’occupazione illegittima di terre altrui. Una mossa clamorosa per un Paese dell’Unione Europea.
Unione Europea decisa a mantenere un ruolo anche nell’ormai infinita guerra fra Ucraina e Russia. I combattimenti proseguono durissimi e senza risultati concreti per alcuna delle parti. I bombardamenti alle città sono invece più intensi del solito. In questo quadro, c’è un timido rilancio dell’attività diplomatica. Mosca propone una ripresa dei negoziati il 2 giugno, mentre il presidente statunitense Trump spiega che “entro due settimane capiremo l’atteggiamento di Putin”. Dal canto suo, la Ue rilancia il sostegno militare a Kiev. la germania ha firmato con l’Ucraina un accordo per la produzione di missili a lungo raggio. Di fatto, a Kiev è arrivata l’autorizzazione europea ad usare le armi strategiche, consegnate all’esercito ucraino, anche per colpire il territorio russo. Un colpo di scena che ha indispettito Mosca, che promette rappresaglie. Il Cremlino ha coinvolto anche gli Stati Uniti, accusandoli apertamente di sapere della decisione europea e di condividerla segretamente. “Gli Usa – ha dichiarato all’agenzia Tass il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov – non possono non conoscere le modalità di utilizzo dei missili a lunga gittata forniti dai Paesi europei a Kiev per colpire il territorio russo. In questi vettori vi sono componenti di fabbricazione statunitense”.
Al Cremlino tira aria pesante. L’economia non regge. Prezzo del petrolio in calo e guerra estenuante stanno svuotando le casse e questo potrebbe creare malcontento popolare. Le opposizioni vengono preventivamente messe a tacere. Esemplare quanto sta accadendo a Nizhny Novgorod, città della Russia Centrale. Un magistrato ha riaperto il caso di Kirill Smirnov e Yegor Starshinov, due teenager incarcerati un anno fa per aver diffuso in un canale Telegram un video. Seduti in cucina, parlavano dell’Ucraina, criticando le forze armate russe. La preside del loro liceo, Nina Govorova, ha visto il video e li ha denunciati. Sono stati condannati a due anni e mezzo di carcere. Ora, la procuratrice Anna Belova vuole rivedere il processo. Ritiene ingiusta la condanna. Secondo lei, quei due anni e mezzo di galera sono davvero troppo pochi.