“Madre Terra”, la nostra Terra

E’ dal 1970 che questa giornata è dedicata al pianeta: The Earth Day. Ma quanto ne siamo consapevoli? L'editoriale del direttore dell'Atlante

di Raffaele Crocco

Arriva ogni anno: chissà se ce ne accorgiamo. E’ dal 1970 che questa giornata è la Giornata della Terra, The Earth Day. Qualcuno dice della Madre Terra, ma fa troppo fricchettone, secondo alcuni. Dal 2009 lo è diventata anche per le Nazioni Unite, che secondo sempre questi alcuni – quelli dei fricchettoni – ormai sono uno scatolone vuoto. La domanda resta: ce ne accorgiamo?
Dedicare una giornata alla Terra è come dedicare, in tutto l’anno, una giornata a casa propria. E’ stupido, inutile, ipocrita, insensato. Noi – quasi tutti, tutti quelli che ne hanno una – in casa viviamo ogni giorno. E’ il luogo delle nostre sicurezze, della socializzazione, del benessere o almeno la immaginiamo così. Per questo ne abbiamo più o meno cura, la rendiamo più bella, confortevole, anche prestigiosa. Non sentiamo la necessità di dedicargli una giornata: alla nostra casa non serve.

Anche sulla Terra viviamo ogni giorno. E’ il luogo delle nostre sicurezze, della socializzazione, del benessere. O almeno dovrebbe essere. Di più: è da lì, dalla Terra, che tiriamo fuori le risorse per vivere: aria, acqua, cibo, minerali, legname, pietre. Eppure, anche se ci siamo dentro e sopra, se la usiamo, giriamo, conosciamo, sfruttiamo ogni giorno, sentiamo il bisogno di dedicargli una Giornata. Quasi fosse una sconosciuta. Non è, a differenza della casa, “la nostra Terra”. E’ qualcosa di staccato da noi, di altro. Non siamo noi a dipendere da lei, ma è la Terra che dipende da noi.
Su questa convinzione arrogante nasce il bisogno di questo ipocrita monumento della Giornata della Terra. Abbiamo bisogno di glorificarla almeno un giorno, per tentare di non buttarla via, di non distruggerla. Continuando nei fatti ad ignorare che se la distruggiamo siamo finiti, morti.

Guardate, non è questione di ideale, etica, morale, religione, bontà: è pura convenienza. Aver cura della Terra, conservarla, è il migliore e più sicuro degli investimenti. Ce lo raccontano le cifre, come sempre. Nel 2019, l’Earth Overshoot Day è stato il 29 luglio, a livello globale. Da quel giorno, l’umanità ha iniziato a usare la natura 1,75 volte più velocemente di quanto gli ecosistemi siano in grado di rigenerarla. In pratica, usiamo 1,75 Pianeta Terra all’anno. Anche qui, con qualche differenza, se è vero che l’Overshoot Day dell’Unione Europa, appena un quindicesimo della popolazione mondiale, è stato il 5 maggio 2019, molto, molto prima. Qualcuno – noi – consuma più Terra di altri e anche qui le disuguaglianze fanno danni.

Entro il 2030, di questo passo, di Terre ce ne vorranno due ogni anno. La cosa interessante è che sappiamo benissimo cosa serve per evitare di andare in debito. I campi d’azione sono quattro: città, energia, cibo e popolazione. Tradotto: dovremmo cambiare dieta, limitare – non vietare – l’uso delle auto, tagliare le emissioni nel settore energetico e l’uso di materie prime inquinanti.

Non lo facciamo e i rischi crescono, portandosi dietro ingiustizie, mancanza di diritti, guerre, malattie, fame. Ci crediamo moderni e invincibili, invece dipendiamo dalla casa che ci ospita. La pandemia che ci ha colpito ha mostrato la nostra fragilità. Nemmeno nei Paesi più avanzati il sistema sanitario è stato in grado di evitare che il contagio uccidesse migliaia di persone e condizionasse la vita economica dei Paesi.

Ma c’è di peggio. Ci sono cose che raccontano ancora di più e meglio la nostra dipendenza dalla Terra. Se domani iniziasse una grande carestia mondiale, se la produzione di alimenti si bloccasse, tutti noi avremmo un’autonomia di soli 150 giorni. Non abbiamo scorte e, soprattutto, produciamo molto cibo, ma con poche varianti. Dovremmo diventare più oculati. La Fao scrive che ogni anno sprechiamo circa 1.3 miliardi di tonnellate di frutta, ortaggi, prodotti della Terra. Finiscono nei cassonetti, proprio mentre ancora 800 milioni di esseri umani sono a rischio fame, nonostante la produzione alimentare cresca – ogni anno – dell’1,5%.

La soluzione individuata da governi e multinazionali – al momento – è semplice: controllare la produzione e la distribuzione del cibo. Si acquisiscono terre, soprattutto in Africa, che è fertile, c’è sole e, soprattutto, la questione dei diritti di proprietà è praticamente inesistente. Intere comunità vivono nella medesima regione da secoli, ma non hanno atti che dimostrino la loro proprietà sulle terre. Così, lo Stato le considera sue e chi governa – spesso in modo assolutamente non democratico – le ritiene una proprietà privata. Risultato, le affitta a pochi euro a multinazionali, fondi d’investimento, governi. Si chiama Land Grabbing il fenomeno ed è riconosciuto come problema anche dalla Banca Mondiale. Riguarda tutti, anche l’Europa, che sta tornando terra di latifondisti e di grandi proprietari terrieri.

Abbiamo problemi con le risorse energetiche, viviamo in città che diventano sempre più grandi, immense. Oggi, il 56% della popolazione mondiale vive in città ed lì che nasce il grande problema delle emissioni che cambiano il clima. Il 70% cento delle emissioni di gas serra nell’atmosfera è dovuto agli edifici, non al traffico o ai mezzi di trasporto, ma ai palazzi che consumano energia e la trasformano. E il fenomeno appare inarrestabile: in Africa – unico Continente in cui la popolazione crescerà nei prossimi decenni, sino a raddoppiare a 2.5miliardi di esseri umani – si prevede vi saranno, entro il 2050, città da 60-90milioni di persone.

Le campagne si svuotano e la desertificazione accelera il processo. Negli ultimi 45 anni, una superficie pari a 1,2miliardi di ettari, cioè 11% della superficie vegetale della Terra, è diventata inutilizzabile. Perdiamo ogni anno fra i 5 e i 12 milioni di ettari di buona terra. E quando non è la terra il problema, lo diventa l’acqua. Lo racconta la storia del grande Eufrate, praticamente prosciugato dalle dighe costruite in Turchia. In Asia Centrale, la caduta dell’Unione Sovietica un quarto di secolo fa, ha fatto collassare il bacino del fiume Syr Darya, che bagna Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kazakistan, prima di arrivare al lago d’Aral. Il Kirighizistan prosciuga il fiume per generare energia elettrica. Più a valle, uzbeki e kazaki muoiono letteralmente di sete e le tensioni crescono.

Sono solo alcuni racconti, questi. Sono poche cose che oggi, 22 aprile 2020, saranno di grande attualità, assieme ad altri spunti sul tema. Saranno al centro di dibattiti, riflessioni, auspici e previsioni. Saranno la cosa più importante. Poi, arriverà il giorno dopo e la Terra tornerà ad essere come sempre: di nessuno.

#IoRestoaCasa

In copertina la foto Undp/Perù scelta dalle Nazioni Unite sulla pagina dedicata all’evento di oggi 

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