Messico: strage di migranti

Incriminati 12 agenti di polizia. Sotto accusa la linea "Remain in Mexixo"

di Maurizio Sacchi

Il 3 di febbraio, in Messico, il procuratore generale Irving Barrios ha ordinato l’arresto di una dozzina di agenti di polizia per sospetto coinvolgimento nell’eccidio di 19 persone nello Stato nord-orientale del Tamaulipas, avvenuto presumibilmente un mese fa. Il magistrato ha detto in una conferenza stampa che le indagini hanno mostrato che almeno 12 poliziotti statali sono probabilmente coinvolti nel massacro, avvenuto  nel comune di Camargo. Tra le vittime, le autorità hanno identificato due guatemaltechi, i cui corpi sono stati trovati carbonizzati in un veicolo crivellato di proiettili e bruciato.

Gli agenti incriminati sembra abbiano alterato la scena del crimine, rimuovendo i bossoli. Inoltre, il rapporto della polizia e le risposte  fornite dai sospetti negli interrogatori non corrispondevano ai registri telefonici e ai dati sulla posizione dei cellulari degli agenti incriminati. Dei 19 corpi esaminati, 16 erano maschi, uno era di donna e gli altri due erano così gravemente bruciati che il loro genere non era ancora stato determinato. Le uccisioni hanno sollevato un’ondata di indignazione in Messico, poiché nel Paese, in cui la componente meticcia e indigena è importante, la simpatia per i migranti è diffusa nella popolazione. E così pure la profonda sfiducia nelle forze di polizia: il caso rievoca infatti il rapimento e il massacro nel 2014 di 43 insegnanti e studenti nella città di Iguala da parte di un commando di poliziotti corrotti agli ordini di una banda di narcotrafficanti.

Il Presidente Andres Manuel Lopez Obrador ha promesso di porre fine alle uccisioni e ai rapimenti da parte delle autorità, ma i legami tra le forze di sicurezza e la criminalità organizzata per ora non sono stati eliminati. I due migranti guatemaltechi sono stati identificati  grazie ai  campioni di DNA forniti dai parenti agli investigatori. Si ritiene che più di una dozzina di vittime provengano dagli altopiani del Guatemala, una regione duramente colpita dalla pandemia di coronavirus, e dal clima estremo dello scorso anno. Tra i morti anche il proprietario messicano di uno dei pick-up bruciati trovati sulla scena. Il camion era stato sequestrato settimane prima durante la detenzione di 66 migranti nel vicino stato di Nuevo Leon, ma successivamente rilasciato al proprietario, mentre un’altra delle vittime, un messicano, era un noto contrabbandiere di migranti.

La strage non  è che  l’ultimo episodio nella storia di corruzione della polizia del Tamaulipas. La maggior parte delle città dello Stato ha visto le proprie forze di polizia municipale sciolte anni fa perché gli ufficiali erano sul libro-paga dei cartelli. Ma si inserisce in una storia più vasta: ogni anno, decine di migliaia di migranti provenienti dall’America centrale attraversano la regione al seguito di guide che pagano i cartelli per il permesso di transito.Un grande giro d’affari, conteso dall Cartello del Golfo e dalla famigerata banda degli Zetas. Le 19  vittime facevano parte di un convoglio che trasportava anche  salvadoregni, con uomini armati a bordo.

Sotto accusa è finita intanto anche la politica “Remain in Mexico” per arrestare i flussi migratori prima degli Stati Uniti, voluta da Donald Trump, e accettata e applicata dal presidente Lopez Obrador. In base a questa politica, i migranti devono attendere le udienze del Tribunale a stelle e strisce  per il diritto d’asilo nelle città di confine messicane,e non  negli Stati uniti, come avveniva in precedenza. Human rights watch (HRW) in un rapporto pubblicato il 3 febbraio ha affermato che la politica che ha inviato migliaia di migranti in alcune delle città più pericolose del Messico e li ha sottoposti a rapimenti e stupri – dovrebbe essere “rapidamente e decisamente smantellata”.

Michael Garcia Bochenek, esperto senior di Hrw, ha affermato che la politica “ha esposto inutilmente e prevedibilmente bambini e adulti ad un alto rischio di violenza e altre minacce”. Il rapporto di 103 pagine intitolato “‘Like I’m Drowning’: Children and Families Sent to Harm by the US ‘Remain in Mexico’ Program“, è stato condotto con il contributo di esperti in salute mentale e protezione dei minori che affermano che il trauma per i bambini migranti potrebbe avere effetti duraturi. “La costante minaccia di pericolo, la ripetuta esposizione ad abusi e molestie, la mancanza di chiarezza sui percorsi di protezione e la mancanza di accesso al supporto si combinano per creare ed esacerbare i traumi”, ha dichiarato il dott. Ryan Matlow, professore associato clinico di psichiatria alla Stanford University School of Medicine. “Per molte famiglie, il risultato è un grave disagio acuto con potenziale conseguenze psicologiche e sanitarie durature.”

Ma il Presidente Joe Biden ha finora indicato che non cambierà rapidamente le politiche di immigrazione del suo predecessore.“L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è dire che ci fermeremo immediatamente, l’accesso all’asilo, il modo in cui viene gestito ora, per poi finire con due milioni di persone al nostro confine”, ha detto Biden in una conferenza stampa a fine dicembre.Per cambiare rotta, ha aggiunto, occorre allocare  finanziamenti per assumere più giudici per il ditto d’asilo per elaborare le richieste in modo più efficiente, 

nell’immagine, una foto di Alejandro Cartagena da Unsplash

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