Morti bianche nella città rossa

A Sihanoukville, in Cambogia, collassa un edificio in costruzione di sette piani e fa strage. Il segno di una guerra continua dove le vittime sono i cambogiani e le responsabilità condivise tra governo e imprenditori stranieri

di Emanuele Giordana

E’ la città del “principe rosso” cambogiano Norordom Sihanouk quella che da ieri è il teatro di nuove morti bianche. Eppure sul principale quotidiano in lingua inglese di Phnom Penh la notizia non c’è. Nemmeno stamane. Bisogna andare su altre testate meno note, dove comunque non è la prima notizia. O su giornali che han dovuto trasferirsi altrove perché in Cambogia sono stati silenziati.

Eppure il collasso di un edificio di sette piani nel centro di Sihanoukville sulla costa, non è una notizia secondaria visto che, non solo il crollo in sé di un edificio in costruzione merita attenzione ma la struttura – ripiegatasi su se stessa prima dell’alba di sabato mattina – si è portata via 18 dei cinquanta operai che vi lavoravano mentre almeno altri 24 sono stato feriti dal crollo ma almeno hanno salvato la pelle. Quattro per ora gli arresti, tra cui il proprietario della società cinese di costruzione. Il numero dei morti però potrebbe salire mentre un migliaio di persone partecipano alle operazione di soccorso per trovare qualcuno magari ancora vivo sotto le macerie. Gli operai dormivano nell’edificio il che già dice molto sulle condizioni in cui si lavora – già denunciate dall’ufficio Onu del lavoro (Ilo)- nel regno-dittatura cambogiano.

Ma la vicenda illustra anche un altro aspetto: la faccia nera degli investimenti cinesi e l’acquiescenza di un governo che sta svendendo pezzi del Paese al miglior offerente. La Cina da alcuni anni sta investendo in strutture turistiche e casinò nella città intitolata al “principe rosso” Sihanouk stimolando l’arrivo di sempre più cinesi: imprenditori e turisti. Il governo locale stima in un miliardo di dollari l’investimento del governo e di imprese private cinesi tra il 2016 e il 2017 in un’area dove i cinesi sono (almeno dal regno, un po’ meno dai suoi sudditi) ben accetti: circa il 30 per cento della popolazione di Sihanoukville sarebbe cinese e cinesi sono i proprietari, oltreché dei casinò (circa una cinquantina), di gran parte di case, terreni, alberghi e ristoranti così che il mercato immobiliare ha visto una crescita passata da da 500 dollari al metro quadro a cinque volte tanto, specie se si può costruire in riva al mare. Anche le isole di fronte alla città, un paradiso in via di estinzione, stanno ormai subendo la stessa sorte: lievitano i prezzi, cresce la cementificazione. Un Paese in vendita: tra il 1994 e il 2012, il Centro cambogiano per i diritti umani stimava che il governo  avesse già dato in concessione oltre 4,6 milioni di ettari a 107 imprese di proprietà cinese.

Infine, come si costruisce? Con che materiali e con che sistemi di garanzia per la manovalanza cambogiana? Il collasso dell’edifico la dice lunga. Ma per la Cambogia non è una notizia da prima pagina. A certe cose meglio non far troppa pubblicità.

L’immagine di copertina è tratta dal fotogramma di un filmato della Bbc.

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