Mozambico, suor Maria l’ultima vittima

L'uccisione della religiosa nel quadro di un  conflitto che dal 2017 sconvolge il Nord del Paese e a oggi ha prodotto circa 3.000 morti e 800.000 sfollati. Armi e soldi non bastano per porre fine alla violenza se non si combattono le radici di una crisi profonda 

Suor Maria de Coppi è solo l’ultima vittima di un conflitto che dal 2017 sconvolge il nord del Paese e ad oggi ha prodotto circa 3.000 morti e 800.000 sfollati. Armi e soldi non bastano per porre fine alla violenza: c’è bisogno di dialogo e impegno politico

di Marta Cavallaro

Sette persone sono morte e tre sono state rapite negli attacchi terroristici che martedì scorso hanno sconvolto diversi villaggi della provincia di Nampula, in Mozambico. Tra le vittime anche Maria de Coppi, suora italiana di 84 anni appartenente all’ordine delle Suore Missionarie Comboniane e rimasta uccisa nell’agguato alla parrocchia di Chipene. Nella missione attaccata erano presenti altre suore e sacerdoti, tra cui don Lorenzo Barro e don Loris Vignandel, gli altri due missionari italiani che sono riusciti a fuggire e mettersi in salvo. Suor Maria de Coppi viveva in Mozambico dal lontano 1963. Aveva assistito ai momenti più bui e più felici della storia mozambicana contemporanea: l’indipendenza dal Portogallo, la guerra civile, la pace e, purtroppo, il recente ritorno alla violenza nel nord del Paese. Il conflitto irrisolto a cui assistiamo oggi ha origine nel 2017 con un’insurrezione a Cabo Delgado, regione situata a nord al confine con la Tanzania e ricca di gas naturale e minerali preziosi. Da allora le attività di Ahlu Sunna Wal Jamaa (Aswj), gruppo armato di matrice terrorista a cui sembra essere attribuibile anche l’attacco di martedì scorso, hanno prodotto circa 3.000 vittime e quasi 800.000 sfollati.

All’epoca della sua comparsa, le origini di Aswj erano poco chiare. Nonostante la gente del posto si riferisse ai militanti come “al Shabaab” e il gruppo si richiamasse allo Stato Islamico, l’organizzazione nasce localmente e non ha alcun legame diretto con il gruppo ribelle somalo. Oltre che alla matrice religiosa, le cause dell’insurrezione sembrano ricondurre alla situazione di significativa emarginazione economica e ingiustizia sociale in cui versa la maggior parte della popolazione di Cabo Delgado. La regione è ricca di importanti giacimenti minerari e riserve di idrocarburi che, a partire dagli anni 2000, hanno attirato ingenti investimenti stranieri senza però produrre benefici per la popolazione locale.

Al contrario, le condizioni di vita degli abitanti di Cabo Delgato sono in alcuni casi peggiorate. Con la promessa di trasformare il Mozambico in un importante esportatore di gas naturale sul mercato globale, a partire dal 2010 lo Stato ha sgomberato i residenti dalle terre assegnate agli investitori internazionali per trivellazioni offshore ed estrazione di idrocarburi. Nonostante le motivazioni che hanno spinto i militanti mozambicani ad unirsi al gruppo fossero diverse, il risentimento nei confronti dello Stato e il senso di esclusione dai benefici economici prodotti dalle risorse della propria terra sono stati elementi chiave. Non a caso, gli insorti hanno fin da subito preso di mira i centri nevralgici dell’industria estrattiva nel nord del Paese, arrivando a controllare il porto strategico di Mocimboa da Praia nell’agosto del 2020 e costringendo il gigante petrolifero francese Total ad interrompere i suoi progetti per l’estrazione e la liquefazione di gas naturale, dal valore totale di 60 miliardi di dollari.

La situazione è migliorata sul campo solo a partire dal 2021, grazie all’intervento del Ruanda e di una missione della Southern African Development Community (Sadc) che insieme sono riuscite a contenere la diffusione dei militanti. Le forze ruandesi, dispiegate tramite un accordo bilaterale tra Kigali e Maputo, hanno riconquistato il porto strategico di Macimboa da Praia e la penisola di Afungi, zona in cui opera Total. La missione della Sadc, dispiegata invocando un patto di mutua difesa regionale, è intervenuta nel centro di Cabo Delgado e nelle aree al confine con la Tanzania, allontanando gli insorti da alcune delle loro roccaforti.  Entrambe le operazioni sono state largamente finanziate dall’Unione Europea che ha recentemente dichiarato di voler aumentare il proprio sostegno finanziario alle forze in campo negli anni a venire. I soldi dell’Unione Europea, che sostiene anche l’addestramento dell’esercito mozambicano con la propria missione nel Paese, dovrebbero servire a contrastare l’influenza russa e cinese nella regione. Ma soprattutto il Mozambico è un potenziale futuro partner commerciale che l’Europa, alla ricerca di fonti di gas alternative a quelle russe, non può permettersi di perdere. È necessario che la situazione in Mozambico si stabilizzi per permettere a Total di riprendere le sue attività ed iniziare nel 2024 a produrre ed esportare verso l’Europa gas naturale liquefatto.

Maputo e i suoi partner hanno indubbiamente fatto progressi nel riportare un po’ di stabilità a Cabo Delgato. Gli interventi internazionali sono riusciti in parte ad arginare l’insurrezione e, nonostante centinaia di migliaia di civili rimangano sfollati, gli aiuti umanitari hanno portato un po’ di sollievo alla popolazione. L’Aswj non è però stato sconfitto: molti combattenti si sono mescolati alla popolazione in attesa del momento giusto riarmarsi, cellule del movimento continuano a compiere attentati simili a quello di martedì scorso e sembra che l’organizzazione si stia muovendo ad ovest di Cabo Delgado verso la provincia di Niassa.

È improbabile che armi e soldi riescano a risolvere il conflitto. Secondo diversi analisti, l’insurrezione continuerà fino a quando le radici economiche e sociali che vi sono alla base non saranno state affrontate. Ciò che i militanti richiedono è un ruolo significativo nell’economia di Cabo Delgato, in modo da poter beneficiare delle opportunità create dalle risorse della loro terra. Non deporranno le armi fino a che non avranno ottenuto ciò che vogliono. Se le motivazioni degli insorti non vengono affrontate, le radici della violenza rimarranno inalterate. Per porre fine al conflitto sarà necessario dialogo e di impegno politico. Le autorità e le élite di Maputo e Cabo Delgado dovranno decidere quali promesse materiali fare ai combattenti, tenendo a mente che ciò per cui lottano è un desiderio di giustizia sociale e un senso di partecipazione concreta al futuro di Cabo Delgado.

Nel testo la mappa (Nazioni Unite) del Mozambico. In copertina la parte Nord del Paese dove è stata uccisa la religiosa

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