Myanmar, il peso della guerra due anni dopo

L'analisi delle forze in campo in un conflitto ad alta intensità

di Theo Guzman

La decisione della giunta birmana di prolungare di altri sei mesi lo stato di emergenza il 1 febbraio scorso a due anni dal golpe è l’indiretta ammissione di non poter tenere le elezioni in un Paese che in gran parte sfugge al controllo della giunta sul Paese. La giunta controlla le maggiori città ma ha serie difficoltà nelle campagne. Nel settembre 2022 il governo ombra civile (National Unity Government-Nug) ha dichiarato che le sue forze di difesa popolare (Pdf) e le organizzazioni rivoluzionarie etniche alleate (Ethnic Armed Organization-Eao o Ethnic Revolutionary Organization-EaO come il Nug preferisce chiamarle) hanno il controllo effettivo di oltre la metà del Paese. La giunta stessa avrebbe  un controllo stabile su 72 delle 330 township del Paese, un quarto super giù del territorio birmano. Secondo fonti della Lnd, avrebbe perso anche 90 basi militari.

La guerra birmana non è un conflitto a bassa intensità e i numeri che circolano non rendono l’idea di una realtà che inganna anche chi viaggia nel Paese nelle poche aree in cui è permesso muoversi. Ingresso e uscita sono consentiti solo via terra e la permanenza è ristretta alle sole aree turistiche più note (e spesso nemmeno a tutte). Yangon è una città apparentemente tranquilla perché circondata da caserme ultra protette e difficile da conquistare perché si sviluppa in verticale e accerchiarla è impossibile. Ma se in centro la vita sembra normale fonti diplomatiche europee della capitale ci hanno confermato che, in realtà, gli attentati sono quotidiani, almeno in periferia. Nelle campagne si combatte quotidianamente.

Secondo il centro di ricerca Acled (Armed Conflict Location & Event Data Project), nel solo periodo gennaio giugno 2022 la guerra ha messo a bilancio oltre 11mila vittime e oltre 6mila episodi di violenza o protesta. Dall’inizio del golpe, il bilancio delle vittime, aggregando i dati raccolti da  Acled, sarebbe di oltre 30mila morti. Una cifra ben lontana da quella fornita dalla fonte più citata: l’Assistance Association for Political Prisoners (Aapp) secondo cui, al 9 febbraio 2023, il bilancio era di 2.981 vittime civili accertate. La differenza sta proprio nel fatto che in questo caso si tratta di uccisioni di civili “certificate” (nome, luogo, data). Ma è un numero sicuramente per difetto visto che non tiene conto degli uomini in divisa, dei dispersi e delle uccisioni non certificabili di una guerra che, secondo l’Onu, ha già prodotto oltre un milione e mezzo di sfollati e 17,6 milioni di persone in stato di necessità umanitaria (quasi un terzo della popolazione).

L’esercito “ufficiale” può contare su un numero di effettivi e combattenti su cui disponiamo di stime diverse. A partire da una stima iniziale di circa 500mila soldati nei primi anni Duemila, secondo il professor Andrew Selth (Griffith University, Brisbane), autore di Burma’s Armed Force e di Secrets and Power in Myanmar, all’inizio del 2021 l’esercito birmano era formato da un numero stimato tra 300.000 e 350.000 effettivi, che ora sarebbe sceso ad appena 200-250.000. Gli operativi, i combat soldier sarebbero di circa 100mila, un numero confermato anche da altre fonti, cui vanno aggiunti circa 80.000 membri della forza di polizia nazionale, che ha circa 30 battaglioni di sicurezza paramilitari, molti dei quali composti da ex soldati. Secondo la Lnd, Tatmadaw deve anche fare i conti con oltre 12mila diserzioni. I numeri sono difficili da determinare (agli operativi va aggiunta riserva, logistica, amministrativi etc) non solo perché ufficialmente non vengono forniti ma anche perché – benché Tatmadaw abbia allargato i criteri di ammissione nei suoi ranghi – è notevole, oltre alle diserzioni, il numero di chi cerca di evitare il servizio militare come ci è capitato di verificare nelle testimonianze raccolte a Yangon. Quanto alla resistenza, nei diversi Stati dell’Unione, praticamente ogni regione ha il suo esercito, piccolo o grande che sia. Una storia antica per cui le EaO, i cosiddetti eserciti etnici da sempre in conflitto col governo centrale, sono molto più che semplici milizie paramilitari benché la loro forza non sia paragonabile, prese singolarmente (sono circa una ventina), a quella del Tatmadaw. Pdf ed Eao raggiungerebbero assieme tra le 50 e le 60mila unità combattenti.

Tatmadaw può contare però su un arsenale che si è nutrito di un programma di ammodernamento iniziato alla fine degli anni Novanta e che da allora ha potuto contare su molti fornitori: Cina, Russia, India, Israele, Bielorussia, Ucraina, Singapore, Paesi Ue e Corea del Sud. Naturalmente molte acquisizioni di sistemi d’arma sono dunque precedenti al golpe ma tanti clienti sono rimasti: la Cina, ma soprattutto la Russia e i suoi alleati (come la Serbia per esempio). Mosca è indispensabile per la gestione, l’ammodernamento e la manutenzione della flotta aerea, un elemento su cui la giunta sta puntando per tentare di cambiare il corso della guerra. Mirando a più raid aerei – in costante aumento – con meno impegno di uomini sul terreno.

La mappa qui sotto è riprodotta dal sito di Acled

 

 

 

 

 

 

 

 

La mappa nel testo è delle Nazioni Unite

Questo articolo è una sintesi di un saggio uscito su Ispionline

 

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