Myanmar, la valanga di giada

Acqua, fango e sassi uccidono oltre 150 persone nella zona delle miniere di pietre preziose. La loro luce si trasforma in tenebra dopo anni di sfruttamento del suolo, dell'eco sistema e della manodopera. Le responsabilità dei grandi conglomerati

di Emanuele Giordana

Utilizzo selvaggio del territorio, sbancamenti, scavi e disboscamento, conflitti armati, uso spregiudicato delle risorse umane, necessita’ e povertà. Sono queste le cause dietro allo smottamento di un terreno ieri nel Nord del Myanmar che, trasformatosi in una valanga di acqua, fango e pietre ha travolto centinaia di persone uccidendone decine: oltre 160 il bilancio di ieri sera, gia’ forse 200 secondo le stime di oggi riportate dalla stampa locale perché decine sono ancora i dispersi. Una tragedia annunciata. Accade nello Stato settentrionale birmano del Kachin dove le miniere di giada di Phakant, una cittadina di 60mila abitanti attraversata dal fiume Uyu 350 km a Nord di Mandalay, hanno richiesto il loro rituale tributo di sangue.

In questo caso, come in molti altri, una valanga di fango, acqua e sassi che ha travolto e sepolto le vittime, complice la stagione delle piogge ma anche il disastro ambientale cui l’area è sottoposta da anni. Non è la prima volta, non sarà l’ultima. Nel 2015 una frana aveva già sommerso oltre cento persone che vivevano su una discarica e nel 2018 un’altra ne aveva sepolte altre 15. Se si va indietro nel tempo i morti aumentano. Minatori più o meno inquadrati, cercatori solitari, gente che semplicemente vive dell’attività delle miniera o dei suoi scarti. Secondo la stampa locale le vittime sarebbero cercatori “fai da te” ma Phakant non è un posto per fai da te anche se c’è sempre chi scava tra i sassi del fiume come anche in questo caso. Phakant è uno dei grandi buchi neri del Myanmar benché risplenda della luce abbagliante della pietra verde.

Il reticolo di interessi in questa zona dove si estrae giada pregiatissima si divide tra società estrattive private locali, compagnie cinesi o di Singapore, trafficanti e mafiosi ma anche aziende che fanno capo alle forze armate birmane (Tatmadaw), ancora un’immensa potenza economica nel Paese. Lo spiega bene il rapporto di una missione Onu dell’anno scorso (The economic interests of the Myanmar military). Due grandi conglomerati fanno capo a Tatmadaw: Myanmar Economic Holdings Limited (MEHL) e Myanmar Economic Corporation (MEC), ai cui vertici si trovano il comandante in capo delle Forze armate Min Aung Hlaing e il suo vice Soe Win. Ci sono oltre cento aziende MEHL e MEC in diversi settori dell’economia: dalle assicurazioni al turismo, dal sistema bancario all’edilizia e all’estrazione di gemme. Infine vi sono altre 27 imprese strettamente collegate ai due conglomerati attraverso le loro strutture aziendali. Un impero che sta al centro delle attività economiche birmane cui vanno aggiunti i “legami commerciali e familiari forti e persistenti con un certo numero di società e conglomerati privati del Myanmar, colloquialmente conosciuti come crony companies”, che potremmo tradurre con “aziende degli amici”.

Se è facile immaginare che i militari non abbiano in genere una grande relazione con i sindacati, ciò è ancora più vero nelle aree minerarie dove “…i diritti umani e le violazioni del diritto internazionale umanitario, inclusi il lavoro forzato e la violenza sessuale, sono stati perpetrati da Tatmadaw, in particolare nello Stato Kachin, in relazione alle sue attività commerciali” e, più ancora nello specifico, “MEHL e MEC e 23 delle loro filiali hanno numerose licenze per l’estrazione di giada e rubini negli Stati Kachin e Shan”. Kachin appunto, dove si trova la miniera di Phakant (nota anche come Hpakan o Hpakant). Quanto vale il business? In generale 30 miliardi di dollari l’anno – dice Bbc – ma per Tatmadaw? Si va per ipotesi, perché i guadagni delle sue società non sono pubblici: “Nel settore della giada, in cui MEHL e MEC sono i principali attori (il corsivo è nostro ndr) …merce del valore di decine di miliardi di dollari viene introdotta clandestinamente ogni anno in Cina, mentre solo una piccola parte della giada passa attraverso il Myanmar Gems Emporium governativo” e viene dunque tassata.

Rimandando il lettore al capitolo specifico del rapporto (Tatmadaw and the extractive industry), vale la pena di notare che, scrive l’Onu, “…l’attività economica di Tatmadaw in alcuni settori è legata alla sua strategia militare. Ciò è particolarmente evidente nel coinvolgimento di Tatmadaw nelle miniere di giada e rubino negli Stati di Kachin e Shan, dove i suoi interessi economici si sovrappongono ai suoi obiettivi militari”.

In questo settore la ragnatela di interessi è dunque davvero complessa e si spinge fin sul confine del conflitto armato. Ma è anche molto estesa: “Avete mai bevuto una Myanmar?”, chiosa un diplomatico europeo di lungo corso. Certo che si, è la birra più diffusa nel Paese! “Ebbene ogni sorso finanzia anche Tatmadaw”.

Il video è tratto da Youtube

In copertina un’immagine del lavoro delle miniere. Foto di Arezami

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