Negoziare con la Giunta birmana? No grazie

La Resistenza respinge al mittente l'offerta dei militari golpisti del Myanmar

Nel giro di pochissimo tempo, dopo l’offerta delle Giunta birmana di un negoziato  con l’opposizione armata al golpe militare del febbraio 2021, i “ribelli” hanno risposto ai militari un corale “No grazie”. L’offerta del capo della Giunta birmana Min Aung Hlaing è arrivata giovedi resa nota da un comunicato: “Invitiamo i gruppi etnici armati, i gruppi terroristici ribelli e i gruppi terroristici Pdf che combattono contro lo Stato a rinunciare alla lotta al terrorismo e a comunicare con noi per risolvere politicamente i problemi”. Il primo No è stato già di giovedi. A ruota molti altri tra i gruppi armati più consistenti.

Per altro, il tono del messaggio non era certo dei più blandi vista l’associazione tra il termine “ribelle” e quello di “terrorista”, ma la proposta era quantomeno inusuale se si esclude qualche tentativo (fallito) di blandire Aung San Suu Kyi, la leader de facto del governo eletto nel 2015 e la cui forza era sta riconfermata dal voto del novembre 2020 che ha poi dato la stura alla reazione golpista dei militari. Non solo, qualche ora dopo il comunicato raid aerei hanno colpito Lashio, nello Stato Shan, sganciando bombe sul mercato e sulle aree residenziali della città uccidendo due civili.

Secondo la Giunta, i gruppi armati dovrebbero seguire “la strada della politica di partito e delle elezioni per portare pace e sviluppo duraturi” in un Paese dove “risorse umane, infrastrutture di base e la vita di molte persone sono andate perse”. Il No è arrivato sia dalle cosiddette Ethnic Armed Organisations (Eao) sia dal governo clandestino che rappresenta i parlamentari eletti nel 2020 e noto come Nug, il cui braccio armato è la People’s Defence Force (Pdf). Per il Nug l’offerta non vale nemmeno la pena di essere presa in considerazione, visto che la Giunta “non ha l’autorità di indire elezioni” (sebbene continui a promettere un voto a breve): “l’offerta – per il Nug – è un disperato tentativo di sfuggire alla sconfitta”.

Quanto alle Eao, i Karen sono stati i primi a rispondere già lo stesso giovedi seguiti a ruota da altri: Padoh Saw Taw Nee, portavoce della Karen National Union (Knu), ha detto che colloqui sarebbero stati possibili solo se i militari avessero accettato “obiettivi politici comuni”. Che sarebbero: “Uno: nessuna partecipazione militare nella politica futura. Due: accettazione di una Costituzione democratica federale. Tre: i militari devono essere ritenuti responsabili di tutto ciò che hanno commesso… compresi crimini di guerra e contro l’umanità”. Termini inaccettabili per la Giunta.

Lway Yay Oo, portavoce del Ta’ang National Liberation Army (Tnla) ha bocciato l’idea che “i gruppi armati debbano abbandonare la lotta e partecipare alle elezioni” perché si tratta di una “manovra politica” in un momento in cui i militari “stanno perdendo territorio e affrontando una sconfitta militare”. Anche il Consiglio esecutivo ad interim dello Stato Karenni ha respinto ieri la proposta, bollata come uno “stratagemma”. Salai Htet Ni, portavoce del Chin National Army – che dice di controllare l’80% del territorio dello Stato Chin – aggiunge che la Giunta mira a “manipolare il popolo e la comunità internazionale per garantire la propria sopravvivenza”.

La lettura della Resistenza è dunque quella di una mossa disperata, per la perdita di controllo territoriale, e ingannevole perché mira solo a gettar fumo negli occhi. Ma se ne può aggiungere un’altra. I militari sperano che qualche organizzazione armata lasci il fronte comune che si è formato tra Eao e Nug in vista di uno Stato federale e di una nuova Costituzione inclusiva. Non sono da escludere pressioni cinesi che già han dato frutti: una decina di giorni fa il National Democratic Alliance Army (Mndaa) ha dichiarato che non collaborerà col Nug dopo che Pechino ha minacciato di conseguenze la Broterhood Alliance di cui il gruppo fa parte insieme ad Arkan Army e Tnla.

(Red/Est/E.G.)

In copertina e nel testo, un manifesto contro il capo della Giunta Min Aung Hlaing

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