Nervi tesi tra Belgrado e Pristina

Il dialogo tra Kosovo e Serbia, teso a normalizzare le relazioni tra i due Stati, è sempre più difficile. Oggi la situazione sembra ancor più critica ma c'è qualche luce all'orizzonte

di Elia Gerola

Il dialogo tra Kosovo e Serbia, teso alla normalizzazione delle relazioni tra i due Stati, sembra esseri complicato ancora di più. Già nel 2017, una fonte autorevole come l’Economist lo dava per caduto in uno stato di coma. Oggi, la situazione sembra ancor più critica, dopo il voto con il quale Pristina ha annunciato la volontà di istituire un proprio esercito ed i dazi sulle merci serbo-bosniache, un nuovo documento ha fatto indignare Belgrado.

Il 7 marzo il parlamento kosovaro ha infatti approvato un documento che detta l’agenda e gli obbiettivi che dovrebbe contenere la cosiddetta piattaforma per il dialogo serbo-kosovaro. Tra i vari punti, come riportato  dalle agenzie di stampa, vi sono il raggiungimento del riconoscimento formale della statualità kosovara da parte della Serbia, il reciproco riconoscimento dei confini tra Pristina e Belgrado e la successiva ammissione del Kosovo alle Nazioni Unite e ad altre organizzazioni internazionali rilevanti. Non vi è però nessun accenno alle regioni a maggioranza serba presenti in alcune zone nel Kosovo settentrionale e a eventuali tutele nei confronti dei loro abitanti.

Aleksandar Vučić

Belgrado, per mezzo del Presidente della Repubblica di Serbia Aleksandar Vučić, che qualche giorno prima aveva sottolineato l’importanza di mantenere attivo il dialogo, ha quindi risposto dichiarando il proprio sdegno ed disappunto verso l’assertività kosovara. Vučić aveva infatti spiegato che un compromesso sarebbe stato necessario: in altre parole si era detto disponibile ad accettare risultati mediani rispetto agli obiettivi iniziali di entrambi gli Stati, ma aveva accusato di scarso realismo e quindi irresponsabilità i politici kosovari, incolpandoli di stare illudendo il proprio popolo con promesse irrealizzabili e conseguenti rivendicazioni internazionali semplicemente eccessive ed irricevibili. Ora Vučić ha promesso una risposta “forte ma responsabile”.

Il dialogo tra i due Stati, una volta in guerra ed oggi giunti al punto forse più basso delle loro relazioni bilaterali post-conflitto, si era già fortemente incrinato a novembre quando Pristina aveva annunciato la volontà di trasformare le 3000 unità della Kosovo Security Force, sino ad oggi dotate di sole armi leggere, in un vero e proprio esercito di 5000 unità, più 3000 riservisti, facente  capo ad un Ministero della Difesa da istituire, poiché sino ad ad oggi inesistente. Non solo, ma anche l’imposizione di una maggiorazione del 100% sui dazi relativi alle importazioni serbo-bosniache aveva complicato la situazione. Era infatti il 20 novembre 2018, e come riportato da OBCT, il premier kosovaro  Ramush Haradinaj aveva picchiato i pugni sul tavolo, dichiarando che quella politica sarebbe rimasta in vigore sino a quando Belgrado non avesse riconosciuto al statualità kosovara.

fonte: BBC

Il casus belli scatenante era stato quindi il combinato disposto, in materia di politica di difesa e sicurezza kosovara dato dalla volontà di istituire una propria forza armata autonoma e dalla richiesta di adesione del Kosovo all’Interpol, che a causa delle pressioni serbe, era stata ostacolata nella prima metà del mese di novembre. Da non dimenticare è poi la campagna internazionale promossa da Belgrado per arrestare i riconoscimenti della statualità kosovara, giunti nel 2018 ad un totale di 116, dopo che anche le Isole Barbados ne hanno riconosciuto lo status di stato-nazione.

Le reazioni internazionali da novembre ad oggi non sono mancate. Allo sdegno serbo, espresso dal presidente Vučić con un perentorio: “Vogliono ottenere la capitolazione della Serbia, ma questo non accadrà”, si sommano infatti anche i numerosi appelli alla moderazione ed in favore della ripresa del dialogo dell’Unione Europea e degli Stati Uniti. Washington ha tuttavia seguito una linea ambigua, da una parte a novembre, la ormai dimissionaria Rappresentante Permanente Usa all’Onu, Nikki Halley, aveva infatti chiesto – senza successo – la chiusura della missione Unmik, fatto che avrebbe spianato la strada alla piena indipendenza del Kosovo e sembrò rappresentare un implicito appoggio alla creazione di un esercito kosovaro; dall’altra però i dazi sono stati fortemente criticati da vari esponenti del Dipartimento di Stato americano.

Federica Mogherini

L’UE dal canto suo, per mezzo del suo Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune, Federica Mogherini, ha invece ripetutamente invitato Pristina a rimuovere una misura considerata eccessiva e ostile, in aperta violazione del trattato multilaterale commerciale denominato “Accordo centro-europeo di libero scambio” così come in contrasto con lo spirito dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione siglato tra Ue e Kosovo ed entrato in vigore nel 2016. Mogherini si è inoltre dichiarata disponibile a mediare tra Serbia e Kosovo, dopo che però segnali di distensione e maggiore disponibilità al compromesso saranno espressi da entrambe le parti. La rimozione dei dazi, considerati sproporzionati anche per una ritorsione politico-economica, sembra essere quindi imprescindibile per riavviare un solido processo di pacificazione.

Dello stesso parere sembrano essere anche gli Stati Uniti, che per bocca del Sottosegretario di Stato David Hale, recentemente recatosi in visita a Belgrado e Pristina, hanno ribadito la propria posizione invitando il governo kosovaro alla rimozione dei dazi e sottolineato invece come entrambi gli Stati dovrebbero astenersi da una politica vicendevolmente provocatoria, impegnandosi invece in un dialogo costruttivo che secondo Hale, potrebbe portare ad una soluzione della questione kosovara addirittura entro la fine dell’anno.

La retorica negativa ed aggressiva del Kosovo non sta quindi favorendo le trattative, costruendo una percezione reciproca negativa di sfiducia, sdegno e sfida. Recentemente Haradinaj, ha persino accusato Federica Mogherini di essere un “nemico” del Kosovo, rea – a suo dire – di aver deviato le discussioni dal riconoscimento della statualità kosovara alla questione dei confini con la Serbia.

Ramush Haradinaj

Tuttavia, come suggerito dal presidente del Kosovo Hashim Thaçi, al fine di ottenere il tanto agognato riconoscimento serbo, uno scambio di territori potrebbe essere realizzato e la stessa Mogherini si era detta possibilista in merito a questa opzione, a condizione che essa risulti compatibile con il diritto internazionale. La proposta riguarderebbe aree come quella di Mitrovica, ora in territorio kosovaro ma a maggioranza etnica serba e la Valle del Preševo, a maggioranza albanese ma in territorio serbo, che potrebbero essere appunto oggetto di uno scambio di territorio tra Serbia e Kosovo. Insomma, possibilità politiche e negoziali ve ne sono, l’importante però, come ribadito da Mogherini all’inizio di gennaio dopo un incontro con una delegazione di deputati di Pristina, è che il Kosovo riassuma una postura percepibile come meno ostile da parte della comunità internazionale e da Belgrado in primis.

Forse qualcosa si sta però muovendo: Behgjet Pacolli, il ministro degli Esteri del Kosovo, ha infatti rilasciato una dichiarazione televisiva  in cui ha affermato di credere a una sospensione imminente dei dazi. Sembra quindi che la linea più moderata del presidente serbo e del presidente del Parlamento di Pristina così come le pressioni della comunità internazionale stiano lentamente isolando le posizioni più oltranziste come quelle del premier Haradinaj. La dichiarazione di Pacolli del 9 marzo è giunta il giorno della visita del sottosegretario Hale in Kosovo e alla vigilia dell’arrivo di due consiglieri della cancelliera tedesca Angela Merkel.

La pressione esercitata per mezzo del soft power della comunità internazionale su Pristina è quindi molta e l’approccio assertivo-oltranzista di Haradinaj sembra non stare portando ai risultati sperati. Circolano inoltre alcune indiscrezioni, non commentate da Hale, secondo le quali gli Usa starebbero pensando, in caso di mancata rimozione dei dazi, di ritirare il proprio contingente militare parte della Kosovo Force (Kfor),la missione di polizia internazionale autorizzata dall’Onu con la Risoluzione 1244 del 1999 del Consiglio di Sicurezza e gestita dalla Nato, volta a garantire l’ordine e la sicurezza nello Stato. Il governo di Pristina è infatti privo di un vero e proprio esercito e per ora è dotato solo della già menzionata “Forza di Sicurezza del Kosovo”, addestrata ed affiancata proprio dalla Kfor.

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