di Adalberto Belfiore
Il 2021 per il Nicaragua è anno di elezioni. Ma il piccolo paese centramericano (6,5 milioni di abitanti, 126° nell’indice di sviluppo umano, Pil 2020 annuo pro capite 1.718 euro) il più povero del continente, ha poche speranze che le elezioni presidenziali e quelle legislative del 7 novembre siano una vera occasione di libera espressione politica per la sua gente. Il regime del Presidente Ortega (e di sua moglie, la temutissima, onnipresente vicepresidente Rosario Murillo) al potere ininterrottamente da 14 anni in seguito a elezioni contestate perché falsate da leggi ad hoc e dal controllo assoluto di parlamento e magistratura, si sta preparando il terreno con un mix micidiale di repressione e leggi liberticide.
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L’ultima, appena entrata in vigore con il nome orwelliano di “legge in difesa del diritto del popolo all’indipendenza, alla sovranità e alla pace”, proibisce la candidatura a cariche pubbliche in quanto “traditori della patria” di chiunque solo approvi o abbia approvato le sanzioni con cui la comunità internazionale o singoli Stati esteri cercano di porre un freno alla repressione delle opposizioni, alla censura, alle confische arbitrarie di media indipendenti e alla smisurata corruzione della famiglia Ortega e della sua stretta cerchia di gerarchi.
Questa legge si aggiunge ad altre recentemente approvate da un parlamento totalmente controllato (70 seggi su 90 e 13 dei rimanenti di un irrilevante partito satellite) dal vecchio Fronte sandinista (Fsln) peraltro da tempo depurato con metodi mafiosi da ogni voce critica. La legge sugli “agenti stranieri” che proibisce la candidatura di chiunque riceva finanziamenti esteri, comprese ong e fondazioni, la legge detta dei cyber delitti, che commina fino a sei anni di carcere a chi diffonda “notizie false” sul web, palesemente diretta contro la stampa online e chiunque ancora si azzardi a violare il monopolio di regime dell’informazione. E una legge che punisce addirittura col carcere a vita non ben definiti “reati d’odio”.
La legalità della dittatura
Ma l’obbiettivo traspare chiarissimo dai discorsi di Ortega che ha definito i protagonisti delle proteste di massa del 2018/19, poi represse nel sangue (più di 350 morti, centinaia di arresti e desaparecidos, decine di migliaia di profughi) dai suoi squadristi e dalle forze di polizia, come “delinquenti, terroristi, posseduti dal demonio” contro cui da più di due anni si esercita la più dura arbitrarietà della magistratura di regime con sentenze abnormi, testimoni fabbricati, senza prove e senza reale diritto alla difesa.
L’ex candidato alla presidenza Edmundo Jarquín, dissidente sandinista, che fu ambasciatore del Nicaragua in Spagna e Messico durante il governo rivoluzionario degli anni ’80 (1979-1990) ha definito questi mostri giuridici come la preparazione della “struttura legale per una dittatura”. E l’Alto rappresentante della politica estera dell’Unione Europea Josep Borrell le ha bollate come “lesioni legali ai diritti democratici dei nicaraguensi”. Si attende la presa di posizione della nuova amministrazione Usa, alle prese con la più difficile transizione della storia recente, ma non dovrebbe essere difforme date le posizioni bipartisan di Democratici e Repubblicani che hanno portato alle sanzioni (congelamento di conti, negazione del visto, proibizione di rapporti commerciali) contro alti gerarchi “sandinisti” e la stessa vicepresidente Murillo e due dei suoi figli. Intanto il Paese affonda.
Finiti i dollari facili del petrolio venezuelano (incamerati direttamente da società della famiglia Ortega senza passare dal bilancio dello Stato) e malgrado i circa 650 milioni di dollari ricevuti dagli organismi internazionali (Fmi, Bm, Bcie, Bid ecc) per ragioni umanitarie in seguito ai due ultimi uragani, Iota e Eta, che hanno colpito la costa caraibica, tutti gli indicatori macroeconomici sono in caduta. Il Paese affonda nell’abisso del debito (nel 2007 era di 5.043 milioni di dollari e nel 1°semestre del 2020 è salito a 11.674, dati della Banca Centrale del Nicaragua) i capitali stranieri fuggono di fronte alla corruzione dei funzionari e all’arbitrarietà della magistratura, l’occupazione si contrae, i salari del settore formale si abbassano (in media non sono sufficienti a comprare i beni alimentari essenziali) e i lavori informali senza tutele né diritti superano il 72% della forza lavoro.
Diseguaglianze in aumento
Come nota l’economista e politologo Oscar René Vargas, negli anni della rivoluzione consigliere economico di Ortega e oggi rifugiato in Costa Rica, sotto il regime di Ortega le disuguaglianze aumentano a dismisura. 210 milionari possiedono più dei restanti 6 milioni di cittadini, e le loro ricchezze sono in aumento. Non c’è da stupirsi perché, durante tutti gli anni dei suoi governi, l’ex guerrigliero è stato uno dei migliori allievi del Fondo Monetario Internazionale in quanto ad applicazione di politiche neoliberali (taglio della spesa pubblica, bassi salari, legislazione di favore alle imprese, teoria dello sgocciolamento).
Nota ancora Vargas che “l’origine delle fortune più grandi del paese non è dovuta al merito, all’innovazione o alla maggiore efficienza, ma all’eredità, all’informazione privilegiata, alle esenzioni fiscali e alle leggi e norme favorevoli concessi dal potere politico”. Ossia a ciò che è conosciuto come il “patto col gran capitale” da parte dell’ex rivoluzionario convertito in dittatore, con buona pace degli ultimi nostalgici dell’epopea rivoluzionaria. Anche la repressione continua, con la ferocia e l’arbitrarietà propria di una forza di occupazione. Gli oppositori, se non incarcerati, vengono tenuti arbitrariamente sequestrati in casa, come l’esponente dell’Unità nazionale azzurra e bianca (UNAB) Felix Maradiaga a cui è stato impedito con la forza di andare a visitare i paesi colpiti dall’uragano Iota dello scorso novembre.
E se le opposizioni tentano di organizzarsi sul territorio sono accusate di “golpismo e terrorismo” e represse con pesanti intimidazioni, violenze fisiche e minacce alle famiglie da parte di polizia e bande paramilitari del regime. In questo quadro desolante preoccupa l’impotenza di organizzazioni regionali come l’Organizzazione degli stati Americani (Oea), che ha concesso tempo a Ortega fino al 21 maggio per preparare riforme atte a garantire libere elezioni. Ma Ortega va appunto in tutt’altra direzione e a maggio potrebbe essere troppo tardi per fermarlo. In generale stupisce l’incapacità o l’indifferenza della comunità internazionale, in particolare dell’Unione Europea, a fronte di un intero Paese sequestrato da un regime violentemente autoritario il cui modello pare essere più la Corea del Nord che Cuba, e che comunque rappresenta un anacronistico esempio di autoritarismo e di impunità.
In copertina l’ultimo dossier di Amnesty International: Nicaragua: Ortega government appears to be preparing for a new phase of repression
Nel testo un servizio di Articulo 66 sulla presa di posizione della Commissione interamericana sui diritti umani
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