Acqua bene non comune

Sono cinque 5 miliardi le persone che, entro il 2050,  potrebbero essere interessate dalla carenza di acqua. Il dato emerge dal rapporto Onu sulle acque mondiali presentato a Brasilia durante il World Water Forum (vedi chi fa cosa) e in occasione della Giornata mondiale dell’acqua che si celebra ogni anno il 22 marzo. Cambiamento climatico, aumento della domanda di acqua e inquinamento sono, secondo le Nazioni Unite, gli indiziati principali.

Nel rapporto Onu si legge che nel 2050 saranno tra i 4,8 e i 5,7 miliardi le persone che potrebbero ritrovasi a fronteggiare la carenza di risorse idriche.

Nello stesso periodo la popolazione mondiale dovrebbe passare dai 7,7 miliardi attuali a 9,4-10,2 miliardi. Anche per questo, secondo il rapporto, la domanda globale d’acqua è sestuplicata negli ultimi cento anni e continua a crescere al ritmo dell’1% l’anno.

Se le cose non cambiano, quindi, fra 30 anni il mondo potrebbe aver bisogno del 30% d’acqua in più rispetto a oggi.

Senza dover aspettare il 2050, la situazione non è comunque rosea. La carenza di acqua coinvolge infatti 3,6 miliardi di persone. Più di 840 milioni in tutto il mondo, ovvero una persona su nove, non ha accesso all’acqua sicura, e 2,3 miliardi, ovvero una persona su tre, non ha accesso ai servizi igienici.

La drammatica situazione della mancanza di acqua è già visibile nelle zone in cui, essendo poca, si trasforma da risorsa in oggetto di contesa, passando da bene pubblico a risorsa strategica e militare. Questo il caso, ad esempio, del conflitto ultradecennale tra israeliani e palestinesi dove l’acqua viene utilizzata da Israele per esacerbare il conflitto.

Una regione che risente moltissimo della scarsità di acqua è il Sahel, una fascia di territorio dell’Africa sub-sahariana che si estende tra il deserto del Sahara a Nord e la savana del Sudan a Sud, e tra l’oceano Atlantico a Ovest e il Mar Rosso a Esti. Qui 135 milioni di persone sono a rischio a causa del prosciugamento idrico e del surriscaldamento globale che potrebbe portare la temperatura media a salire di ben 5 gradi da qui al 2050.

L’inquinamento mette poi in estrema difficoltà alcune metropoli: a Mosca il 60% dell’acqua potabile non soddisfa gli standard di qualità e sicurezza, mentre al Cairo il 97% dell’acqua utilizzata dalla popolazione proviene dal Nilo, che è anche la destinazione finale di scarichi e di rifiuti.

L’acqua italiana ancora ai privati

Per trattare il caso Italia è necessario partire dal 2011, anno in cui il 57% degli aventi diritto andò al votare al referendum abrogativo. Di questi il 98% scelse l’opzione che andava nella direzione della ripubblicizzazione dell’acqua.

Da quel momento poco è stato fatto e ad oggi ci sono solo pochi Comuni che, avvalendosi di leggi speciali, hanno reso la ‘loro’ acqua pubblica.

Il sito del Forum toscano dei movimenti riporta alcuni di questi esempi. Uno dei casi più emblematici è quello di Napoli, dove l’SPA che gestiva il servizio idrico partenopeo ARIN è stata trasformata in ABC Napoli, un’azienda speciale di diritto pubblico (ABC è l’acronimo di Acqua Bene Comune).

La differenza fondamentale tra una Spa e una azienda speciale è che la Spa ha tra i propri scopi quello di generare profitto per gli azionisti, mentre la seconda persegue il pareggio di bilancio.

Altri casi riguardano comuni più piccoli, come quello di  Zeri, di Saracena, di Berceto e di Burgio.

In una intervista rilasciata al Corriere della Sera nel 2014 Paolo Carsetti, tra i rappresentati del Forum italiano per l’acqua pubblica, rilevava che nelle tariffe prima del referendum si pagava anche il 7% del capitale investito dai gestori. Oggi questa voce di spesa non appare più in bolletta ma, nella pratica, si continua a pagare sotto un altro nome, ovvero ‘oneri finanziari’.

Contro questo metodo il Forum aveva fatto ricorso al Consiglio di Stato, che però non ha rilevato irregolarità.

Nonostante l’acqua non sia pubblica, comunque noi italiani siamo, secondo l’Istat, uno dei Paesi con il più alto consumo. Consumiamo in media 175 litri di acqua al giorno, con picchi superiori a 220 litri in alcune zone. Per fare un raffronto con i Paesi vicini: in Spagna e in Francia la media è di 150 litri pro capite al giorno.

Città del capo senz’acqua

Città del Capo è la prima metropoli a rischiare di trovarsi senza acqua che scorre nei rubinetti.

Per la capitale del Sud Africa, che conta oltre quattro milioni di abitanti, si avvicina il day zero, data nella quale si rischia di restare all’asciutto. Questo famoso e temuto ‘giorno zero’ doveva essere il 16 aprile, ma è stato rinviato più volte ed è attualmente atteso per il 9 luglio 2018.

Con l’ashtag #defeatdayzero la popolazione è stata aggiornata sulla situazione idrica e ha iniziato a fare sacrifici razionando il bene e riducendo i consumi.

Gli abitanti sono scesi prima a 87 litri d’acqua al giorno pro capite, e poi a 50 litri.

Ma qual è il motivo di questa crisi? La città viene da tre anni consecutivi di siccità che hanno svuotato le riserve di acqua potabile. Per risolvere la questione le autorità sudafricane hanno dato il via a perforazioni per cercare falde freatiche e alla costruzione di impianti di desalinizzazione per le emergenze. Ma nessuno di questi rimedi è a breve termine.

E nei contesti di crisi le disuguaglianze sociali si fanno più acute.

Un reportage di Pierre Haski, per il giornale francese L’Obs, e riportato su Internazionale affronta il problema acqua e lo collega anche all’organizzazione della città, ancora divisa tra  ricchi e poveri.

“La geografia di Città del Capo – si legge – è l’eredità di tre secoli di presenza europea, e cinquant’anni di leggi di apartheid hanno lasciato una città divisa in due: i quartieri residenziali riservati ieri ai bianchi (e tuttora a maggioranza bianca nonostante sia il denaro e non la legge a deciderlo) hanno stili di vita ad altissimo consumo di acqua, con giardini, piscine o varie auto per famiglia”.

Dall’altra parte, tra Table mountain, frontiera naturale della città, e l’oceano, si stende invece un’immensa area di sobborghi fatti di baraccopoli dove affluiscono i migranti del resto dell’Africa o dell’interno del Sudafrica. Qui il consumo idrico è già ridotto di per sé: spesso le abitazioni sono prive di acqua corrente.