Armi Made in China nel mondo

a cura di Alice Pistolesi

Sono sempre di più le armi made in China. Se nel periodo che va dal 2008 al 2013 il 4,6% delle armi presenti nel mondo proveniva dalla Cina, nel quinquennio successivo, invece, le esportazioni sono salite al 5,8%. A rivelarlo i dati del Sipri.

E il trend sembra destinato a non arrestarsi. Nel marzo 2018 il governo cinese ha infatti annunciato l’intenzione di  incrementare dell’8,1 per cento le spese militari nell’arco di un triennio.

La Cina esporta armi in 48 Paesi. Ai primi posti spiccano Pakistan, Bangladesh e Algeria.

La Cina ha rappresentato il maggior esportatore di armi per il Pakistan sia nel periodo 2008-2013 che in quello 2013-2017 passando dal 45 per cento al 70 per cento.

L’Africa (vedi approfondimento 1 e focus 1) rappresenta il continente in cui l’esportazione di armi cinesi è cresciuta maggiormente, raggiungendo la quota del 55% del totale.

Secondo gli esperti uno dei motivi della crescita delle esportazioni cinesi è dovuta all’aumento dei costi degli articoli militari più avanzati come navi da guerra e aerei da caccia.

In questo dossier si analizza la politica delle armi cinesi rispetto al continente africano, ma anche ai suoi rapporti con la Russia e, di rimando, con gli Stati Uniti.

I precedenti dossier sulla politica di acquisto e vendita armi degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita

La politica delle armi negli Stati Uniti

Il commercio delle armi dell’Arabia Saudita

Armi cinesi in Africa

L’Africa aumenta la propria spesa di armi cinesi. Dai dati del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) dal 2013 al 2017 le esportazioni cinesi di armi verso l’Africa sono aumentate del 55 per cento rispetto al quinquennio precedente.

E gli acquisti aumentano nonostante le importazioni complessive di armi dall’Africa sono diminuite del 22%. La quota della Cina sul totale delle importazioni di armi dall’Africa, infatti, è aumentata dell’8,6%, arrivando a quota 17%.  Due terzi dei Paesi africani hanno in dotazione armi cinesi.

Secondo gli osservatori la Cina di Xi Jinping sta crescendo nei servizi post vendita e ha recentemente rivisto la politica di non-ingerenza negli affari interni degli altri regimi.

Pechino ignora infatti gli embarghi occidentali in Zimbabwe, in Guinea Equatoriale e in Burundi. Durante la guerra ha aperto una fabbrica di armi leggere a Khartum e ha replicato la mossa anche in Mali e in Zimbabwe.

Le sanzioni alla Russia ricadono sulla Cina

Gli Stati Uniti sanzionano la Cina per l’acquisto di armi russe e, ovviamente, la risposta di Pechino non si fa attendere.

La sanzione si inserisce all’interno del Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act (CAATSA). L’atto di cui abbiamo parlato nel precedente dossier è stato firmato nel 2017 dagli Stati Uniti per punire la Russia a causa del suo coinvolgimento nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016, dell’aggressione in Ucraina e della sua partecipazione alla guerra civile siriana.

Nello specifico, il Dipartimento cinese sanzionato nel settembre 2018 è stato accusato di aver acquistato 10 caccia SU-35 e un sistema di difesa missilistica terra-aria S-400 dalla Russia.

Come risposta alla sanzione Usa la Cina ha convocato l’ambasciatore statunitense a Pechino, Terry Branstad. Il portavoce del Ministero, Wu Qian, ha spiegato che la decisione è stata un normale atto di cooperazione tra due Paesi sovrani, sottolineando che gli Stati Uniti non hanno diritto di intervenire nella vicenda.

“L’approccio statunitense è una mera violazione delle regole di base delle relazioni internazionali, una piena manifestazione di egemonia e una seria rottura dei rapporti tra due Paesi e tra i loro due eserciti” ha spiegato Wu.

Le restrizioni includono un divieto di visto per il direttore dell’agenzia militare e lo limitano insieme alla Chinese agency, che fa parte della Commissione Militare Centrale del Paese, ad intraprendere transazioni con il sistema finanziario statunitense. Le misure prevedono poi il blocco del loro accesso a proprietà e interessi all’interno della giurisdizione statunitense.

La Russia, da parte sua, ha avvisato Washington di “non giocare con il fuoco”, accusandola di cercare di espellere Mosca dal mercato globale delle armi.

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