Armi nucleari: chi ne dispone, quante sono e il nuovo trattato

Al bando le armi atomiche. Il 7 luglio 2017, in quella che resterà una data storica, l’assemblea generale Onu ha approvato il trattato per il disarmo nucleare.

La premessa dello storico accordo è il riconoscimento delle “catastrofiche conseguenze umanitarie” delle armi nucleari, e che la loro completa eliminazione “rimane il solo modo di garantire che esse non siano mai usate in qualsiasi circostanza”.

Il Trattato è stato anche il frutto dell’impegno di una grande campagna internazionale, promossa da International Campaign to AbolishNuclearWeapons (ICAN) e alla quale hanno aderito enti, associazioni, società civile.

La missione sta nell’articolo 1, nel quale si vieta agli Stati di “Sviluppare, testare, produrre, oppure acquisire, possedere o possedere riserve di armi nucleari o altri dispositivi esplosivi nucleari”. Ma anche  “trasferire o ricevere il trasferimento, consentire la dislocazione, incoraggiare, indurre, assistere, ricercare” le armi nucleari.

Il Trattato proibisce quindi non solo l’uso delle armi nucleari, ma anche la minaccia dell’uso di quelle armi. Di fatto, nega quindi la legittimità della deterrenza dei tempi della Guerra Fredda, con la sua folle corsa agli armamenti.

Secondo il testo chiunque detenga questo tipo di armi, dalla data del trattato deve fare in modo di “rimuoverle dallo stato operativo e distruggerle non appena possibile”. Il trattato fa poi riferimento all’assistenza alle vittime, alla bonifica ambientale e alla cooperazione e assistenza internazionale per l’applicazione del testo.

Controverso e dibattuto in sede Onu l’articolo 17 del trattato.  “Ciascuno Stato Parte, nell’esercizio della propria sovranità nazionale, ha il diritto di ritirarsi da questo Trattato se decide che eventi straordinari legati all’oggetto del trattato abbiano compromesso gli interessi supremi del suo Paese”. Molti esperti ritengano si tratti di un capolavoro di ambiguità: non è chiaro quali possano essere gli ‘interessi supremi’ tali da giustificare l’uso dell’atomica.

La società civile che ha partecipato ai negoziati, sostenuta da molti Stati, si è opposta strenuamente a questa clausola, considerandola un controsenso. Un blocco di Stati intransigenti ne ha però impedito l’eliminazione.

A dire sì al testo 122 Stati. Il bando entrerà in vigore entro 90 giorni dal momento in cui verrà ratificato da almeno 50 Paesi.

Questo trattato sarà un forte strumento nelle mani degli Stati non nucleari nelle prossime scadenze, ad esempio nella Conferenza di riesame del Trattato di non proliferazione del 2020.

Il nuovo testo prevede la prima revisione ufficiale dopo sei anni dall’entrata in vigore, ma le modifiche potranno essere proposte in ciascun momento.

Gli emendamenti possono essere approvati dalle riunioni degli Stati aderenti e dalle Conferenze di revisione con una maggioranza qualificata di due terzi.

Chi ha le armi nucleari

Nel mondo esistono ad oggi circa 15mila testate nucleari alle quali vanno aggiunte le circa 150-250 dislocate nei Paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica nell’ambito del programma di condivisione sul nucleare avviato dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Russia e Stati Uniti contano da soli per il 93% del totale delle testate. Il Paese con maggiore dotazione di armi nucleari, al momento, è la Russia con 7.000 testate, di cui 1.790 schierate e pronte all’uso, altre 2.700 in deposito e 2.510 ritirate e pronte per essere smantellate.

Al secondo posto gli Stati Uniti con 6.780 testate, di cui 1.740 schierate, 2.740 accumulate e 2.300 in disuso. Si piazza terza la Francia con un arsenale di 300 testate di cui 290 schierate ed il resto in deposito.

La Cina ne ha 260 ma non si conosce il numero di quelle che sarebbero operative.  La classifica prosegue poi con il Regno Unito con 215 di cui 120 pronte all’utilizzo. Significativi anche i numeri di Pakistan ed India: 140120, ma nessuna delle due ha una testata schierata.

Idem per Israele, che ha 80 testate. Infine c’è la Corea del Nord che disporrebbe di meno di 10 testate nucleari e non si sa se queste armi sono operative o accumulate.

Per i paesi Nato le informazioni sono ancora più frammentarie e misteriose. L’Italia dovrebbe avere circa 90 armi nucleari nei depositi delle basi di Aviano e Ghedi. Un numero compreso tra le 50 e le 90 sarebbero poi in Turchia mentre GermaniaOlanda e Belgio non dovrebbero superare le 20 armi atomiche a testa.

Nel  rapporto Nuclear Notebook della Federation of American Scientists(Fas), pubblicato nell’edizione 2016 del Bulletin of the AtomicScientists rispetto al totale delle testate più di 10 mila si trovano nelle scorte militari (le altre sono in attesa di smantellamento), 4.200 delle quali schierate con le forze operative.

Di queste 4.200, 1.800 sono pronte a essere lanciate con un breve preavviso. Sui numeri continua comunque ad intervenire il segreto di Stato. Gli scienziati della Fas, ad esempio, elaborano le loro stime sulla base delle informazioni disponibili al pubblico , di un’analisi delle serie storiche e di occasionali indiscrezioni.

Il numero di testate nucleari attuale rimane elevato ma è senza dubbio un passo avanti rispetto ai tempi della Guerra Fredda. In base agli studi condotti dalla (FAS) il numero degli ordigni nucleari nel mondo è molto diminuito: nel 1986 erano 70.300.

Nel 2010 Usa e Russia si sono incontrate per rilanciare il progetto Start, ovvero il sistema di trattati per la non proliferazione delle armi atomiche. Washington e Mosca firmarono infatti il New Start promettendo di fissare a 1.550 il tetto per testate e bombe nucleari, 800 vettori complessivi tra missili balistici intercontinentali (noti come Icbm), i sommergibili con lanciamissili nucleari (Slbm) e i bombardieri pesanti.  Ad oggi questo numeri non sono rispettati.

Cosa fa l'Italia

L’Italia era assente alla conferenza che ha portato alla votazione del trattato, schierandosi con  il gruppo NATO. La rete Italiana per il Disarmo ha annunciato una estate di mobilitazione per ottenere l’adesione italiana. Le firme di adesione inizieranno ad essere raccolte il 20 settembre.

Dopo l’approvazione del Trattato a New York sono tornate in discussione al Senato le mozioni dedicate alla questione del disarmo nucleare.
I senatori sono stati chiamati ad esprimersi su cinque mozioni e le hanno respinte in toto.

Le mozioni riprendevano in un caso le considerazioni tempo rilanciate dalla società civile internazionale per il disarmo (quella che ha stimolato l’Iniziativa Umanitaria da cui è scaturito il processo diplomatico condotto da Stati come Austria, Messico, Nigeria, Irlanda e che comprende la Campagna ICAN Campagna Internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (ICAN ma anche la Croce Rossa Internazionale e diverse organizzazioni Premi Nobel per la Pace).

In una seconda mozione invece si faceva riferimento diretto alla bozza di testo in discussione a New York, ricordando come “la bozza di Trattato, sostenuta da una grande maggioranza di Stati, richiede che i Governi facciano ogni sforzo per garantire che le armi nucleari non siano più utilizzate, in nessun caso.

In entrambi i casi la richiesta aggiornata ed esplicita al Governo era quella di aderire al Trattato (firmandolo subito, anche a partire dal 20 settembre) ma anche di far partire percorsi legislativi ed operativi per eliminare la presenza di ordigni nucleari statunitensi dalle basi di Ghedi ed Aviano dove sono ancora ospitati.

Simile richiesta veniva avanzata anche da un’ulteriore mozione che chiedeva un’adesione al Trattato pur vincolando il percorso all’adozione “attraverso una nuova strategia diplomatica, di azioni opportune al fine di consentire, nel rispetto degli impegni internazionali già assunti, la sottoscrizione del trattato giuridicamente vincolante sul divieto delle armi nucleari”. In pratica si chiede un percorso meno netto rispetto agli accordi sulla condivisione del nucleare già in vigore.