Clima, Trump contro il resto del mondo

Il 1 giugno 2017 il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato che il Paese lascerà l’accordo sul clima di Parigi e non contribuirà più al Green Climate Fund, il fondo che ha il compito di sostenere i paesi in via di sviluppo nell’attuazione di politiche che vanno contro i cambiamenti climatici.

Gli Stati Uniti hanno anche annunciato che avvieranno trattative per rientrare nell’accordo o per farne uno interamente nuovo che “abbia i termini giusti per gli Stati Uniti, le aziende, i lavoratori e i contribuenti”

La motivazione è, per Trump, economica. Per il presidente il patto climatico avrebbe come conseguenza fino a 2,7 milioni di posti di lavoro persi entro il 2025. E secondo uno studio  riportato sul Ney York Times  al quale si è appigliato Trump entro il 2040 le perdite arriverebbero a 6,5 ​​milioni di posti di lavoro industriali, 3 miliardi di dollari di perdita di produzione economica, ovvero a circa 7mila dollari di reddito in meno per famiglia.

Nel dossier riportato dal quotidiano statunitense si dava però voce alle perplessità degli economisti americani che contestano questa visione. Le perdite di posti di lavoro proiettate nello studio presuppongono infatti che l’economia americana non utilizzerà l’innovazione per adeguarsi alle normative provenienti dall’accordo che Tump ha rifiutato. Molte aziende come Apple, Marte e Unilever hanno invece dichiarato di aderire all’accordo di Parigi e questa apertura dei mercati tecnologici innovativi porterà presumibilmente a nuovi posti di lavoro

Inoltre una serie di studi (di organizzazioni ambientaliste, della Citibank e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) sostengono che una mancata mitigazione degli effetti del cambiamento climatico potrebbe costare miliardi di dollari all’economia.

La mossa di Trump va anche nella direzione dei lavoratori dell’industra del carbone. Il combustibile fossile più inquinante al mondo ha subito negli anni un rapido declino in particolare negli Stati Uniti e in Cina e l’industria collegata è in grave crisi. Negli ultimi anni le centrali elettriche a carbone sono state nel mondo dismesse e la quantità di carbone estratto è crollato, mentre si è sviluppato il mercato del gas naturale e delle energie rinnovabili.

Secondo il The Guardian gli Stati e le città degli Stati Uniti continueranno a prescindere dalla decisione del presidente a perseguire economie green che assicurino l’aria pulita, l’acqua e la promessa della stabilità climatica per i propri cittadini. Inoltre esportando prodotti fabbricati con energia ‘sporca’, gli Usa potrebbero tentare altre nazioni a indebolire i loro impegni climatici.

Il Green Climate Fund

Il Green Climate Fund (GCF) ha il compito di convogliare le risorse per il sostegno e il finanziamento ad attività per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici nei paesi in via di sviluppo.

Tutti i paesi in via di sviluppo che hanno ratificato la Convenzione possono ricevere i finanziamenti del Fondo. Il GCF sostiene i paesi che intendono per esempio attuare piani di sviluppo a basse emissioni, azioni nazionali di mitigazione (NAMAs), piani di azione nazionali sull’adattamento (NAPAs), piani nazionali di adattamento (NAPs) e altre attività del genere.

Gli Stati Uniti hanno destinato 3 miliardi di dollari al fondo, ed è il maggior investitore in termini aggregati. Su base pro capite, invece, il suo impegno non è il più alto. La Svezia ha contribuito con 581 milioni di dollari, ovvero poco meno di 60 dollari a persona, sei volte l’impegno pro capite degli Stati Uniti.

I paesi industrializzati hanno impegnato volontariamente 10,3 miliardi di dollari dal 2013. Il fondo investe in oltre 40 progetti. Tra gli ultimi progetti c’è lo sviluppo di sistemi di irrigazione e di rifornimento delle acque sotterranee nell’India nordorientale, dove il cambiamento climatico ha reso meno affidabili le piogge del monsone; una centrale idroelettrica nelle isole Salomone nel Pacifico del Sud per eliminare i generatori diesel; e il ripristino e la protezione delle zone umide ugandesi utilizzate dagli agricoltori di sussistenza.

Economisti e grandi aziende

Grandi aziende ed economisti statunitensi hanno commentato la decisione di Trump. Nonostante l’annuncio, infatti, gli Stati Uniti stanno andando verso un’economia verde e alcune grandi aziende hanno chiesto al presidente di non uscire dall’accordo di Parigi.

“Il più grande pericolo nell’aver lasciato l’accordo è che si perda il posto al tavolo delle trattative per tutti i colloqui climatici da venire”, afferma Shayle Kann, di GTM Research, che analizza il mercato sulle soluzioni energetiche di nuova generazione.

Per il fondatore di Salesforce Marc Benioff e il CEO di Microsoft Satya Nadella “La crescita delle tecnologie pulite negli Stati Uniti è inarrestabile da una prospettiva economica, in parte perché probabilmente vedrete un sostegno continuo (di tali società) a livello statale”.

Secondo l’economista Gregory Daco della Oxford Economics, a breve termine, il ritiro dall’accordo nega l’impatto di eventuali imposte sulle emissioni di carbonio sui costi del gas e dell’elettricità, mentre E Mark Zandi, capo economista di Analytics di Moody, nota che la decisione probabilmente ridurrà le perdite di posti di lavoro nelle industrie dei combustibili fossili, come il carbone, ma anche il guadagno nelle energie rinnovabili, come il sole e il vento.

Ma, aggiunge Zandi, l’occupazione in carbone è già diminuita in parte perché il gas naturale è diventato una fonte di energia più economica e più pulita. E l’energia rinnovabile ha già visto una crescita del lavoro, in parte a seguito di normative statali e prezzi più bassi che hanno incoraggiato molti proprietari di abitazioni ad installare pannelli solari sui loro tetti, per esempio.

A preoccupare l’economista, inoltre, ci sono gli effetti dei cambiamenti climatici che potrebbero avere un altro enorme impatto economico: uragani, inondazioni e altri eventi catastrofici che distruggono case e imprese potrebbero costare l’economia centinaia di miliardi di dollari nei prossimi decenni.

Inoltre, a detta di Daco, il ritiro dall’accordo di Parigi rappresenta una posizione pericolosamente isolazionista in un momento in cui il pianeta si sente come un ecosistema sempre più interdipendente.