Disastri ambientali, mondo in allerta

a cura di Alice Pistolesi

Uragani, piogge torrenziali, ma anche siccità, tornado, terremoti e simili hanno conquistato negli anni una cadenza temporale sempre più ravvicinata.

Ma come reagisce ai disastri ambientali causati dal cambiamento climatico la Comunità Internazionale?

In questo dossier cercheremo di fare qualche esempio tra i più recenti, analizzando la quantità di aiuti umanitari che i disastri ambientali riescono a smuovere, il mancato riconoscimento giuridico di chi dal clima fugge e la visione dei vertici del Pentagono rispetto alla pericolosità della questione ambientale sulla sicurezza del Pianeta.

*L’immagine è tratta da www.internal-displacement.org

Pericolo ambiente ‘batte’ terrorismo

Disastri ambientali ma anche forti cambiamenti climatici possono provocare scontri e conflitti.

Da questo assioma è partito il Pentagono, già nei primi anni duemila, in un rapporto riservato riportato dall’Observer.

Il rapporto sottolineava che i cambiamenti climatici dei decenni successivi avrebbero potuto portare ad una catastrofe mondiale, con milioni di vittime, guerre e disastri di portata sconosciuta al mondo moderno, con sollevamenti popolari dovuti a carestie, siccità ed alluvioni ad alto potere distruttivo.

Ma non solo. Secondo gli analisti della difesa USA, il pericolo per la stabilità mondiale potrebbe addirittura portare in secondo piano la minaccia costituita dal terrorismo.

E questa convinzione per gli Usa non è passata di moda, anzi, è andata aumentando.

Secondo i vertici militari nel prossimo futuro aumenteranno i disordini a livello internazionale, con un numero più elevato di tumulti popolari e conflitti a livello regionale, anche in regioni del globo considerate strategiche per gli interessi americani.

Per questo i vertici del Pentagono hanno iniziato ad investire  nuove risorse in campagne di studio tese a meglio definire le dinamiche che legano fra loro condizioni socio-economiche, clima e l’insorgere di conflitti armati.

Gli Usa, ad esempio, hanno stanziato un fondo per circa 2 milioni di dollari, commissionando all’Università del Maryland un programma di ricerca teso a sviluppare modelli che possano aiutare i politici a prevedere con un certo anticipo le situazioni di crisi a cui, nel caso di eventi meteo-climatici estremi, potrebbero andare incontro diversi Paesi situati in regioni di importanza strategica.

Chi fugge dal clima

Chi fugge dalla propria casa a causa di cambiamenti climatici o catastrofi ambientali non ha status giuridico.

Secondo il Global Report on Internal Displacement 2016 nel mondo ci sono stati 40,8 milioni di sfollati interni. Su 28 milioni 19,2 milioni per calamità naturali. In otto anni il totale di sfollati causati da disastri naturali si aggira intorno ai 200 milioni. Tra le zone più colpite ci sono l’India (3,7 milioni), la Cina (3,6 milioni), il  Nepal (2,6 milioni) a cui si dovrebbero aggiungere le migrazioni forzate per cause connesse.

Un esempio lampante è il Bangladesh. Il Paese conta163 milioni di abitanti, un Pil pro-capite di 3.900 dollari l’anno. Secondo il rapporto della Banca Mondiale Turn Down the Heat: Climate Extremes, Regional Impacts, and the case for resilience entro il 2070 un milione e mezzo di persone in Bangladesh subiranno le conseguenze delle inondazioni.

Nonostante queste premesse  alle persone provenienti dal Bangladesh non viene riconosciuto, tranne rarissime eccezioni la protezioni umanitaria. Qualcosa però potrebbe cambiare.

Nel febbraio 2018 il Tribunale de L’Aquila ha riconosciuto la protezione umanitaria per motivi ambientali ad un cittadino di Dacca, fuggito dal proprio paese a causa delle troppe piogge, troppi uragani.  La sua famiglia ha dovuto vendere i terreni

Per questo, il Tribunale de L’Aquila, ha nell’ordinanza, fatto esplicito riferimento alla povertà come conseguenza socio-economica di cambiamenti climatici, deforestazione e land grabbing.

L’UNHCR-Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e l’IOM-Organizzazione Internazionale per le Migrazioni parla di 200-250 milioni di profughi ambientali entro il 2050. Una media di 6 milioni l’anno.

I dati UNHCR stimano che nel mondo i rifugiati sono per lo più ospitati nei Paesi extraeuropei.

Sul tema dei movimenti migratori causati dal clima Greenpeace ha stilato nel maggio 2017 il rapporto Climate Change, Migration, and Displacement (the Understatement disaster). “I cambiamenti climatici – ha spiegatoa Luca Iacoboni, responsabile Campagna Energia e Clima –  stanno acuendo alcuni fattori che spingono le persone a migrare: eventi meteorologici estremi sempre più frequenti, guerra, problematiche di diritti umani che vedono spesso tra le concause il controllo e l’estrazione di combustibili fossili”.

 

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