Dossier/ Salvare vite in mare

Il Mediterraneo si conferma la rotta migratoria più mortale. Per impedire che il mare continui a diventare la tomba per migliaia di persone, le navi di soccorso delle ong continuano ad essere, nonostante tutte le difficoltà, in prima linea. Dall’estate 2021 una nuova nave è in azione, quella di ResQ, di cui l’Atlante delle guerre è un convinto partner. In questo dossier presentiamo una foto-gallery (di seguito) e il diario di bordo della prima missione (vedi approfondimento 1), oltre a un breve quadro giuridico sull’obbligo del salvataggio in mare (vedi approfondimento 2), alcuni dati sugli sbarchi in Italia (vedi focus 2) e le vittime nel Mediterraneo (vedi focus 1).

Il diario di bordo della prima missione di ResQ

La prima missione in mare di ResQ è partita il 7 agosto 2021. Dopo aver lasciato la terraferma la nave si è diretta a Sud-Est, tra esercitazioni di soccorso e formazione anti-Covid, preparando tutte le cose necessarie per accogliere i naufraghi. L’11 agosto 2021 il Il radar di bordo ha segnalato la prima barca alla deriva. Era notte, e con la gru è stato calato il Rhib in acqua per andare a vedere: si trattava di un barchino di legno vuoto, senza nessuno a bordo, una scritta con lo spray indicava che gli occupanti erano stati soccorsi il 4 agosto dalla Guardia Costiera italiana.

Il giorno dopo mentre navigavamo in zona SAR maltese verso tre piccole barche che erano state segnalate dall’aereo di ricerca Colibrì, la ResQ è stata preceduta da una motovedetta libica. “Hanno caricato tutti sotto i nostri occhi – raccontano nel diario di bordo – impotenti, a pochi metri da noi. Sul ponte della motovedetta c’erano già parecchie persone e sappiamo benissimo, purtroppo, quale sarà il destino di queste donne, uomini e bambini: tornare nelle mani dei trafficanti, tornare alle torture e agli abusi documentati ormai da anni da medici, giornalisti, agenzie delle Nazioni Unite. Fossimo stati più vicini, fossimo riusciti ad arrivare solo un’ora prima, li avremmo salvati. Avremmo fatto salire sul nostro ponte quel bambino che vedete nel video, avremmo dato acqua, cibo e coperte, li avremmo sbarcati in un porto sicuro. Non ce l’abbiamo fatta”.

13 agosto è avvenuto il primo soccorso. L’aereo di ricerca Colibrì di Pilotes Volontaires ha segnalato alle autorità marittime e alle barche in zona una piccola imbarcazione di legno blu, colma di persone, a circa 8 miglia nautiche da noi. “Abbiamo navigato più in fretta che potevamo fino a che non li abbiamo avvistati con i binocoli. A quel punto, è scattata la procedura di soccorso: metti i Rhib in acqua, carica i giubbotti, corri verso il barchino. Le condizioni del mare erano tranquille, le persone a bordo erano fortunatamente calme: mezz’ora è bastata per portarli tutti a bordo”.

“Li abbiamo salvati. Sono con noi. Sulla barca blu, ormai vuota, a spray abbiamo scritto RESCUED, RESQ PEOPLE, 13/8/21. Mentre il Rhib tornava a bordo dopo aver compiuto questa ultima necessaria operazione, è stato circondato dai delfini, che li hanno scortati fino alla nave. Sembrava che fossero venuti anche loro a festeggiare il primo salvataggio”.

L'obbligo di salvataggio in mare

Il dovere di salvaguardare la vita umana in mare e di rendere assistenza è regolamentato con un composito quadro giuridico. La Convenzione sul Diritto del Mare firmata a Montego Bay (Unclos) il 10.12.1982 e ratificata dall’Italia con l. 2.12.1994, n. 689 impone l’obbligo prioritario di soccorrere vite umane in mare e va interpretata in correlazione con la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 che all’art. 33 sancisce il divieto di respingimento.

Altre convenzioni internazionali, tutte in vigore in Italia insieme all’Unclos, costituiscono un completamento dei molteplici obblighi di ricerca e soccorso a carico degli stati. Non ci si può limitare dunque alla mera considerazione della Convenzione di Montego Bay (Unclos). Le Convenzioni internazionali si devono interpretare con un metodo che ne integri la portata normativa, senza omissioni di alcun genere, soprattutto per quanto concerne le molteplici previsioni degli obblighi di soccorso.

Alla Unclos si aggiunge poi la Convenzione del 1989 di Londra sul soccorso in mare e la Convenzione Internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione Solas) che  impone poi gli interventi di soccorso  al comandante di una nave “ che si trovi nella posizione, di essere in grado di prestare assistenza”.

In altri termini, secondo quanto scrive Fulvio Vassallo Paleologo su Adif, chi si trovi più vicino al mezzo in difficoltà, per il quale è giunta una chiamata di soccorso, ha l’obbligo di attivarsi immediatamente e di avvertire le competenti autorità Sar, seguendo successivamente, se arrivano, le istruzioni fornite dal Comando centrale della Guardia Costiera.

Secondo la “regulation” 33.1 del Capitolo V della Convenzione Solas, il comandante della nave che si trovi in una posizione tale da fornire assistenza e che riceva da qualsiasi fonte informazioni circa la presenza di persone in situazione di pericolo (distress) in mare, è obbligato a procedere a tutta velocità per fornire loro assistenza, quando possibile trasmettendo informazione dell’attività di soccorso alle autorità statali preposte alle attività Sar. Una volta espletata l’attività di primo soccorso il comandante della nave non può essere fermato in una posizione di stand by oppure obbligato a restare in acque internazionali a tempo indeterminato per il mancato accordo tra gli stati sulla individuazione del porto di sbarco sicuro.

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