Dossier/ Cambiamento climatico, deforestazione e transizione agraria

Uno dei fenomeni responsabili del cambiamento climatico è senza dubbio la deforestazione. Ma come questa si può collegare alle acquisizioni di terreni su larga scala per l’agricoltura commerciale e le colture da reddito, che sono aumentate a un ritmo allarmante in tutto il mondo? E come anche questa transizione agraria si collega al climate change? In questo dossier le risposte che alcuni studi hanno dato a queste domande.

 

*In copertina Photo by gryffyn m on Unsplash. Di seguito la Distribuzione geografica delle acquisizioni di terreni su larga scala (LSLA) considerate nello studio “Energy implications of the 21st century agrarian transition” di Rosa, L., Rulli, M.C., Ali, S. dell’aprile 2021

Sustaining deforestation? L'approfondimento di Unimondo

L’ultimo rapporto della coalizione della società civile Environmental Paper Network (Epn) “Sustaining deforestation” ci ricorda che la deforestazione e il degrado delle torbiere non riguarda solo il polmone verde amazzonico. La smania di profitto fa le sue verdi vittime anche in Borneo, isola del sud-est asiatico ricca di foreste pluviali, dove, grazie alle analisi delle immagini satellitari, il rapporto della Epn ha documentato una costante rimozione di foreste dalle torbiere, nell’area di concessione dell’impresa PT Adindo Hutani Lestari (Adindo), uno dei maggiori fornitori mondiali di pasta di legno del gruppo APRIL.

 Mentre questa multinazionale non perde occasione per esibire la sua patente di sostenibilità e l’impegno a “non deforestare” assunto dal gruppo già nel giugno 2015, i risultati del rapporto, firmato anche da Greenpeace e Rainforest Action Network, raccontano invece “le costanti e significative violazioni sia degli impegni del gruppo APRIL che della sua impresa madre, il gruppo Royal Golden Eagle (Rge)”.

La APRIL è convinta di aver rispettato la propria “Policy” di gestione forestale sostenibile 2.0  e dal 2016 ha incaricato la  KPMG Performance Registrar Inc di garantire la propria filiera con “rapporti di garanzia limitata” utili a tutelarla da fornitori che non rispettano i criteri ambientali adottati. Tuttavia anche se in nessuno di questi rapporti figura la vasta deforestazione avvenuta nella concessione di Adindo, il rapporto della Epn non lascia dubbi sul fatto che APRIL e il gruppo RGE continuino ad avere Adindo tra l’elenco dei fornitori esterni. Una situazione difficile da conciliare con la scelta di tutelare l’ambiente del Borneo e la complessa struttura societaria di Adindo, costruita attraverso una complessa rete di holding offshore, con l’effetto di oscurare chi controlla l’impresa, e al massimo una scusa, ma non di certo una giustificazione. I risultati del rapporto mettono in dubbio anche la sostenibilità della pasta di cellulosa fornita da aziende minori di APRIL, compresa la nota Sateri, che è una delle principali produttrici mondiali di fibre “viscose staple” (Vsf). Secondo la Fondazione Changing Markets (Fcm), tra i clienti di Sateri e, indirettamente, di APRIL, figurano molti dei più grandi marchi di moda del mondo, negozi di abbigliamento e rivenditori online come Tesco, H&M, Marks and Spencer ed Espirit, che hanno ammesso di essersi riforniti da Sateri nel 2019. Inoltre, visto che molti altri marchi si rifiutano di dichiarare le loro fonti di approvvigionamento, è possibile che le marche recensite dalla Fcm nella sua Dirty Faschion siano solo una parte del problema.

Il rapporto della Epn è stato diffuso dopo che in marzo il braccio tedesco del World Wildlife Fund (Wwf)  aveva rivelato nello studio “Mehr Wald geht durch Corona verloren come “mentre il virus Covid19 si stava diffondendo in tutto il mondo, la deforestazione nelle foreste pluviali cresceva a un ritmo allarmante”. Il rapporto, che ha analizzato i dati satellitari di 18 paesi elaborati dall’Università del Maryland, ha evidenziato come nel marzo scorso la deforestazione sia cresciuta del 150% rispetto alla media dello stesso mese nel 2017-2019, sacrificando circa 6.500 chilometri quadrati di foresta pluviale. In questa emorragia verde le foreste indonesiane sono quelle più colpite, con oltre 1.300 chilometri quadrati persi, la Repubblica Democratica del Congo è seconda con 1.000 chilometri quadrati, seguita dal Brasile con 950 chilometri quadrati. Secondo l’Istituto di ricerca brasiliano Imazon, la deforestazione è aumentata anche ad aprile di quest’anno registrando una perdita di 529 chilometri quadrati in Amazzonia, pari a un aumento del 171% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Per Christoph Heinrich, responsabile della conservazione della natura del Wwf in Germania,  “Ciò indica che abbiamo a che fare con un effetto coronavirus sui tassi di deforestazione” visto che “I severi blocchi decretati in tutto il mondo hanno impedito alle autorità di pattugliare riserve naturali e territori indigeni, mentre l’impennata degli ordini a domicilio ha aumentato la domanda di prodotti”. Un occasione unica per organizzazioni criminali e taglialegna illegali, che hanno sfruttato la situazione a proprio vantaggio.

Ma questo sistema economico predatorio ai danni delle foreste, recentemente aiutato anche dal Covid19, negli ultimi anni ha interessato anche il Nord Africa, dove la deforestazione ha registrato un sensibile aumento a causa della crescente richiesta di carbone vegetale che si ottiene bruciando legna lentamente, in fuochi coperti dalla terra. In passato la popolazione nordafricana raccoglieva legna secca localmente, senza avere impatti destabilizzanti sulla foresta, ma la recente crescita della domanda di carbone, e quindi l’impennata del suo prezzo, ha rappresentato un forte incentivo alla sua produzione. Il risultato? Un aumento esponenziale degli incendi ai danni degli ecosistemi forestali, che svolgono un ruolo importante nel benessere della popolazione e ospitano una biodiversità unica.  Oggi, quindi, il business per la produzione di carbone rappresenta una minaccia per la salute delle foreste del Nord Africa ed è probabile che gli incendi deteriorino il suolo, intensifichino la desertificazione e accelerino il cambiamento climatico.

Il ruolo della transizione agraria

Le acquisizioni di terreni su larga scala per l’agricoltura commerciale e le colture da reddito sono aumentate a un ritmo allarmante in tutto il mondo. Secondo il rapporto dal titolo “Energy implications of the 21st century agrarian transition” pubblicato su Nature Communications che utilizza i dati ella piattaforma Land Matrix la transizione agraria in corso dall’agricoltura di piccoli proprietari all’agricoltura commerciale su larga scala sta rimodellando i sistemi di produzione e il benessere umano in molte regioni. La ricerca considera il consumo energetico nascosto e l’impatto del carbonio di questa “grande transizione agraria”.

Con particolare riferimento all’uso di fertilizzanti e all’irrigazione nei paesi a basso e medio reddito, si rileva che una transizione verso un’agricoltura ad alto input prodotta da LSLA (acquisizioni di terreni su larga scala) richiederebbe 5 volte più energia fossile rispetto all’agricoltura a basso input. La maggiore intensità energetica dell’agricoltura ad alto input rispetto agli LSLA considerati si tradurrebbe in 15milioni di barili di petrolio equivalente all’anno e aumenterebbe le missioni di gas serra per 6milioni di tonnellate di CO2 all’anno (o 0,04% delle emissioni totali globali di gas a effetto serra dall’agricoltura).

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