Dossier/ Clima, cosa emerge dalla Cop26 di Glasgow

Si è conclusa il 13 novembre 2021, dopo due settimane di dibattiti la ventiseiesima conferenza sul clima delle Nazioni Unite che si è svolta a Glasgow in Scozia. Nel dossier una disamina per punti dei punti di forza (pochi) e di debolezza (molti) della Cop26.

 

*In copertina e di seguito foto di Roberto Gammeri per Pressenza

Guerra, la grande assente

Le emissioni causate dalle missioni militari sono state tra le grandi assenti di Glasgow. L’inquinamento causato dalle 34 guerre attive oggi nel mondo, e da tutte quelle che le hanno precedute, è massiccio. Eppure gli Stati che hanno partecipato alla Conferenza delle Parti – e che hanno il dovere di riportare i dati sull’inquinamento causato dalle loro missioni militari all’ufficio delle Nazioni Unite per il Cambiamento Climatico – presentano riguardo alle proprie azioni perlopiù dati confusi, al ribasso, e molto lontani dalla realtà. È questo il risultato della ricerca dell’ Osservatorio sui Conflitti e l’Ambiente (Conflicts and Environment Observatory). L’Ong  britannica, in collaborazione con le Università di Lancaster e Durham, ha creato il progetto Military Emissions Gap, che mappa e analizza proprio il divario tra i dati riportati all’Onu  e quelli effettivi dell’inquinamento causato dalle guerre.

Le emissioni causate dai conflitti sono infinitamente più di quelle che pensiamo, ha spiegato lo scienziato britannico Eoghan Darbyshire nella conferenza di presentazione del progetto tenutasi durante COP26. Non si tratta solo dello spostamento – già di per sé mastodontico – di militari, mezzi di trasporto, armi ed equipaggiamento. Il loro sostentamento (dai rifornimenti di cibo e carburanti, fino al riscaldamento dei loro stabilimenti) è solo la prima aggiunta ad una lista che continua a crescere. Basti pensare alle emissioni causate dalle esplosioni, dalle armi incendiarie (che spesso distruggono enormi aree di vegetazione perché diventano in breve tempo fuori controllo), e dalla strategia militare di distruzione dei raccolti per forzare le popolazioni locali alla resa. Oppure, si pensi alla pratica del gas flaring, l’incendio dei combustibili fossili, con il quale gli eserciti si assicurano che le risorse siano inutilizzabili affinché gruppi terroristici e opponenti non possano beneficiare economicamente dalla loro vendita. Per non parlare del costo ambientale delle missioni umanitarie, costosissime dal punto di vista di carburanti e risorse, soprattutto quando per aiutare le vittime bisogna fare i conti con la distruzione di infrastrutture come strade ed ospedali.

Tutte emissioni che si sommano, ovviamente, ai costi e alle emissioni legate alla ricostruzione di Paesi e territori dilaniati dal conflitto. Insomma: se la spesa militare continua ad essere altissima e redditizia in occidente (il 3.75% del prodotto interno lordo americano è legato all’acquisto di materiale bellico, per oltre 20 mila miliardi di dollari), la spesa ambientale è devastante. Nei report delle Nazioni Unite, i governi riescono a cavarsela riportando una piccolissima parte delle proprie emissioni belliche. Nel diritto internazionale, non c’è traccia di una loro responsabilità per il costo ambientale di tutte le conseguenze della guerra.

La dichiarazione di Glasgow

La Dichiarazione finale della Cop26 di Glasgow prevede la riduzione delle emissioni del 45% entro il 2030 e di raggiungere il traguardo delle zero emissioni entro la metà del secolo. Nella dichiarazione si segnala la necessità di arrivare progressivamente all’eliminazione del carbone senza però inserire scadenze precise. Nel testo si invitano infatti i Paesi a procedere con la graduale eliminazione del carbone ma non è stata inserita una data limite entro la quale raggiungere l’obiettivo.

Nel testo si esprime anche preoccupazione per il fatto che le attività umane abbiano causato un riscaldamento globale di circa un grado e si mantiene l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale sotto i due gradi. Il testo conferma quindi la versione soft dall’uscita da carbone e sussidi alle fonti fossili: un passo indietro rispetto alla prima bozza che non accontentava però le nazioni che puntano ancora sul carbone. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha affermato che la conferenza non ha raggiunto obiettivi chiave come ottenere un accordo per eliminare completamente l’uso del carbone e porre fine a tutti i sussidi ai combustibili fossili.

Secondo gli attivisti la dichiarazione segna il fallimento della 26esima edizione della Conferenza delle Parti sul clima. Mentre il testo veniva reso ufficiale, il 12 novembre, due attiviste sono state ricoperte di sangue di fronte ai cancelli d’entrata. Con lo slogan “COP26 is a moral failure” (La COP26 è un fallimento morale), Extinction Rebellion ha voluto commemorare tutte le persone che perderanno la vita a causa del fallimento di questi negoziati.

Dure le parole di George Monbiot, giornalista del The Guardian, riportate da Pressenza che ha seguito la Cop26 passo passo: “Sto tornando a casa dalla COP26, pieno di frustrazione e rabbia dopo aver letto la bozza della dichiarazione finale. I potenti governi del mondo stanno di fatto proponendo di fare di più in difesa dell’industria dei combustibili fossili, non della vita sulla Terra (…). Alcune delegazioni staranno esprimendo soddisfazione per essere riusciti a difendere le loro industrie legate ai combustibili fossili. Nel testo della bozza si leggono infatti parole come “forse … un giorno … solo se vi sentite pronti”.

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