a cura di Alice Pistolesi
Il contagio provocato dal virus Ebola iniziato nell’estate 2018 ha raggiunto nel luglio 2019 un livello preoccupante, come riconosciuto anche dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità.
Nel dossier analizzeremo alcuni tratti specifici della malattia, l’area di contagio e le ragioni che accompagnano la diffusione del virus, a partire dalla guerra e dai conflitti nella Repubblica Democratica del Congo e dagli spostamenti, più o meno forzati da cui l’area è costantemente interessata.
Epidemia e guerra, il legame
La Repubblica Democratica del Congo è un Paese in guerra. Nelle Regioni più colpite dal virus, ovvero quelle dell’Alto e Basso Kivu e nell’Ituri, oltre che nelle quattro Province del Kasai (cioè, di fatto in tutti i territori più ricchi di materie prime), gli scontri, la violenza indiscriminata, i cosiddetti conflitti “a bassa tensione” e su scala locali sono una costante. Nelle Regioni del Nord e Sud Kivu i conflitti “tutti contro tutti” fra l’esercito e il centinaio di bande armate e gruppi ribelli sono all’ordine del giorno.
L’incertezza politica e i conflitti all’interno dei vari Paesi della Regione non fanno che destabilizzare il quadro generale e alimentare il flusso di rifugiati e migranti da un Paese all’altro, rendendo il contagio più difficile da contenere.
Uganda e Congo, ad esempio, condividono 2.698 chilometri di un confine che corre anche sul Lago Edward e Albert, due dei punti di ingresso preferiti dai rifugiati congolesi in fuga dai conflitti.
Attraversare il confine tra i due Paesi è fatto abituale per molti: le molte persone si spostano per frequentare la scuola e l’università, per le attività commerciali o per curarsi nelle migliori strutture sanitarie presenti in Uganda.
A causa delle insicurezze legate ai conflitti in moltissimi, ad esempio, scelgono di trascorrere la giornata in Congo e la notte in Uganda.
L’Unhcr nei primi mesi del 2019 ha registrato inoltre l’arrivo in Congo di migliaia di persone del Sudan del Sud in fuga dagli scontri e dalle violenze.
Difficile poi l’intervento nella zona di Butembo, al Nord Est del Paese, alle prese con frequenti attacchi delle milizie Mai Mai che costringono le popolazioni a scappare.
Vari osservatori hanno inoltre rilevato che a Butembo, dove la popolazione è prevalentemente di etnia Nande, è diffusa la credenza che il virus sia stato portato da fuori proprio per sterminare la loro comunità.
Nell’analizzare il contagio va tenuto presente anche il fattore demografico. Il Nord Kivu, con i suoi 8 milioni di abitanti, è una delle aree più densamente popolate del Congo e dell’intera regione dei Grandi Laghi. Proprio per questa densità e per le forti relazioni che intercorrono tra gli abitanti delle quattro province (Ituri, Sud Kivu, Maniema e Tshopo) e dei Paesi confinanti (Uganda e Ruanda) il rischio per la salute pubblica è molto alto.
I vaccini e altre mosse di contenimento
Dall’agosto 2018 sono stati introdotti in Congo vaccini, sono arrivati aiuti internazionali, finanziari, tecnici e materiali e sono stati attivati vari protocolli sanitari.
A disposizione del Ministero della Salute del Congo sono state messe a disposizione 4mila dosi di vaccino sperimentale.
L’Oms e l’Ufficio regionale per l’Africa hanno poi fornito supporto tecnico per sviluppare e attuare piani di emergenza nazionali su quattro dei nove Paesi confinanti (Burundi, Ruanda, Sud Sudan e Uganda), memori delle critiche sui ritardi e sulle inadeguatezze degli interventi del 2014.
Sul contenimento del virus pesano però non poco i fattori culturali: spesso le popolazioni locali si rifiutano di credere nell’esistenza dell’Ebola e quindi non rispettano le precauzioni vitali per evitare nuovi contagi e non si sottopongono alle cure disponibili, a cominciare dai vaccini.
Il vaccino, secondo gli esperti, è efficace nel 99% dei casi ed è stato somministrato a 161mila persone, ma soltanto chi viene a contatto con persone infette viene vaccinato. Anche sui vaccini incide poi la sfiducia: in molti ritengono che la malattia arrivi proprio dai vaccini e non dal virus.
Secondo Msf, ad esempio, è necessario un cambio di passo per contenere il virus. “Tutti gli attori coinvolti – dicono – nella lotta contro Ebola devono capire che le restrizioni ai movimenti e la coercizione sulla popolazione non funzionano. È necessario coinvolgere attivamente le comunità locali e migliorare l’accesso alla vaccinazione. Dobbiamo agire ora, non c’è più tempo”.