di Linda Maggiori
Il movimento dei portuali contro il traffico di armi si sta consolidando a livello internazionale. L’imponente sollevamento popolare per la Palestina ha fatto da collante. Dall’inizio del massacro a Gaza, nell’ottobre 2023, l’appello dei sindacati palestinesi che chiedevano di fermare i rifornimenti di armi per Israele è rimbalzato in tutto il mondo. E molti portuali hanno risposto all’appello. Da oltre due anni i blocchi, gli scioperi, le obiezioni di coscienza, i presidi supportati dalla popolazione si sono intensificati. A Genova lo scorso 25-26 settembre le delegazioni di organizzazioni sindacali provenienti da 10 porti hanno condiviso il testo di una dichiarazione congiunta basata su 4 punti: stop immediato al genocidio in Palestina, apertura dei corridoi umanitari, porti liberi dalle armi verso qualsiasi guerra, stop al “rearm-UE” e dirottamento delle ingenti risorse verso i servizi essenziali per la popolazione. “Un passo fondamentale e finora mai raggiunto di solidarietà internazionale, contro il genocidio, contro il riamo e contro tutte le guerre” conclude la dichiarazione finale del Coordinamento internazionale dei portuali contro la guerra. In questo dossier analizziamo varie regioni del mondo dove si è consolidata la rete dei portuali contro le guerre. Nel Mediterraneo e non solo.
I movimenti portuali sono nati laddove i lavoratori sono più sindacalizzati e ben organizzati, a partire da Genova, che ha un movimento di portuali oramai storico. Non dappertutto è così. Nei porti, oltre al traffico di armi, cresce anche il lavoro precario, il turn over.
Così i lavoratori non hanno il tempo e modo per capire cosa transita e come opporsi. I porti in Italia sono proprietà del demanio pubblico, cioè dello stato, che li controlla tramite autorità portuali, i terminal container sono gestiti da imprese private o consorzi pubblici privati che li hanno in concessione dall’autorità portuale. Il prossimo 28 novembre ci sarà un nuovo blocco, che punta ad essere più ampio e internazionale possibile, in occasione dello sciopero generale.
*Foto di Cristina Romeo
Il porto di Genova
Un ruolo importantissimo per la creazione del movimento internazionale dei portuali è stato assunto dai portuali di Genova. Già dal maggio 2019 i portuali del Calp si rifiutarono di caricare sulla nave saudita Bahri Yanbu due casse di esplosivi destinati alle operazioni contro lo Yemen.
Da allora Genova è stato il fulcro del movimento operaio contro le guerre. Solo nell’estate 2025 hanno bloccato ben tre navi dirette a Israele. Durante la missione umanitaria per Gaza, la Global Sumud Flotilla, alcuni portuali di Genova si sono imbarcati e quelli rimasti a terra hanno avvertito a nome del collettivo: “Se perdiamo il contatto con la Flotilla, blocchiamo tutto, dal porto di Genova non passerà più nemmeno un chiodo”. Frase diventata celebre, ripetuta nei cori dei cortei, sempre più imponenti in tutta Italia.
All’arresto dell’equipaggio, il primo ottobre 2025, migliaia di portuali e cittadini hanno bloccato il varco Albertazzi, uno degli accessi al porto di Genova. “Dobbiamo mantenere la rete, sostenere i portuali nel respingere ogni container di armi, non solo diretto a Israele” spiega Francesco Staccioli dell’Usb, il sindacato di base che sostiene la lotta dei portuali da anni. “Dobbiamo fare in modo che non sia solo una fiammata ma che la mobilitazione si mantenga costante. C’è bisogno di una grande rete di solidarietà, perché per ogni giorno di sciopero i lavoratori non percepiscono stipendio e va fatta una raccolta fondi”.
Il porto di Livorno
Il porto di Livorno rappresenta uno snodo importante per il transito di armi tra gli Stati Uniti e la base di Camp Darby. I materiali militari di passaggio sono frequenti, benché il porto sia civile. A settembre 2024 i Gap (Gruppo autonomo portuale) hanno promosso un’iniziativa di protesta e denuncia contro la nave Overseas suncoast, che trasportava propellente per i caccia israeliani. Anche a fine maggio 2025, all’ennesimo arrivo di un’imbarcazione che scaricava mezzi militari (dodici jeep con lanciarazzi destinati a Camp Derby), sono riusciti a coinvolgere comune, prefetto e tutta la cittadinanza, chiedendo lo stop alle armi.
A metà settembre 2025, grazie alle proteste dei cittadini e presidi dei portuali, viene impedito l’attracco anche alla nave cargo Slnc Severn, battente bandiera statunitense e diretta a Camp Darby con materiale militare. Il porto di Livorno è peraltro interessato da opere di ampliamento, che hanno un duplice scopo, militare e civile. Il limitrofo canale dei Navicelli nel 2024-2025 è stato ampliato di larghezza e profondità con fondi Nato per facilitare la navigazione delle navi porta container verso la base Camp Darby. I lavori sono affidati al raggruppamento temporaneo d’impresa formato da Società italiana dragaggi, Fincantieri, Sales e Fincosit. Il progetto sarà probabilmente finanziato in joint venture da pubblico e privati (Grimaldi e Msc) che poi avranno i loro terminal privati. “La nuova Darsena Europa in costruzione nel porto è necessaria a fare attraccare le portacontainer da 300 mt di lunghezza e 45 di altezza con pescaggio a 15 metri” spiega Antonio Mori, attivista dei comitati ambientalisti locali. “Il dragaggio dei fondali, la costruzione della banchina (3 km) andranno ad intaccare ben tre territori Sic: il santuario dei cetacei, la prateria della poseidonia e i banchi di corallo dentro un’area protetta”.



