Dossier/ Il conflitto tra pastori e agricoltori nel Sahel

La violenza tra contadini e pastori in Africa Occidentale e Centrale è aumentata esponenzialmente negli ultimi 10 anni. Dal 2010 ci sono stati oltre 15mila decessi legati alla violenza tra contadini e pastori e la metà di questi si è verificata dal 2018. Per approfondire la questione in questo dossier si analizza il rapporto “The Growing Complexity of Farmer-Herder Conflict in West and Central Africa” scritto da Leif Brottem e pubblicato dall’Africa Center for strategic studies.

Molti i fattori che hanno contribuito all’escalation di violenza. Tra questi la pressione demografica, i cambiamenti nell’uso del suolo e nell’accesso alle risorse, le crescenti disuguaglianze sociali e il calo della fiducia tra le comunità (vedi approfondimento 1). Nel dossier si analizza poi come i gruppi islamisti militanti nel Mali centrale, nel Burkina Faso Settentrionale e in alcune aree della Nigeria abbiano sfruttato le tensioni intercomunali per favorire il reclutamento e come questo ha avuto l’effetto di confondere il conflitto tra contadini e pastori con l’estremismo violento, complicando notevolmente il panorama della sicurezza.

Cosa scatena la violenza

L’ondata di violenza tra contadini e pastori in Africa è scatenata da diversi fattori. Uno di questi, come spiegato nel rapporto “The Growing Complexity of Farmer-Herder Conflict in
West and Central Africa” scritto da Leif Brottem e pubblicato dall’Africa Center for strategic studies, è la crescente pressione sulla terra. Il danno alle colture causato dal passaggio del bestiame è notevole, inoltre la popolazione rurale della regione è cresciuta in modo considerevole. Ad esempio la popolazione rurale nella zona sudanese e saheliana dell’Africa Occidentale e Centrale è cresciuta di oltre il 40% negli ultimi 20 anni, raggiungendo oltre 281milioni di persone. Negli ultimi quattro decenni, la superficie coltivata è raddoppiata, raggiungendo quasi il 25% della superficie terrestre totale, una tendenza che secondo gli scienziati accelererà. La scarsità di terre pastorali spinge così i pastori in aree protette e aumenta la loro dipendenza da pratiche illecite come il taglio degli alberi.

Un altro fattore è l’espropriazione. L’invasione delle terre coltivate nelle aree di pascolo accresce il risentimento dei pastori per il fatto che i loro diritti alle risorse sono più deboli di quelli degli agricoltori. I pastori hanno solo bisogno di un accesso stagionale alle risorse, quindi i loro diritti sulla terra sono spesso trattati come secondari rispetto a quelli degli agricoltori. Le tensioni intracomunitarie che ne derivano contribuiscono al reclutamento di gruppi armati poiché i giovani cercano l’emancipazione e l’autosostentamento. Paradossalmente, però, spiega il rapporto, la presenza di gruppi armati riduce ulteriormente la disponibilità di terreni pastorali poiché i pastori vengono espulsi  da aree come le foreste protette, che i gruppi armati invece occupano.

Altro fattore è il furto del bestiame, ovvero la risorsa più preziosa in molte comunità rurali. L’aumento della frequenza e dell’entità dei furti di bestiame è sia una causa che un effetto di conflitti violenti. I gruppi armati utilizzano il bestiame rubato per finanziare le loro attività. Il rischio di furto fa sì che i pastori si armino per proteggere i loro animali.

Le disuguaglianze sociali sono un altro motivo. “I recenti cambiamenti nella proprietà del bestiame – si legge – in alcune località dalle comunità di pastori rurali ai ricchi abitanti delle città hanno generato la percezione che i pastori rappresentino gli interessi dell’élite. Ciò ha contribuito alla rottura dei tradizionali sistemi di dipendenza reciproca come la condivisione dei residui colturali. Al contrario, questo rafforza altri fattori scatenanti del conflitto, come la probabilità che un agricoltore richieda tariffe esorbitanti a un pastore per qualsiasi danno al suo raccolto. Allo stesso modo, un pastore che ha il sostegno delle élite politiche può rifiutarsi di partecipare alla risoluzione delle controversie con gli agricoltori locali sulla base del presupposto che i proprietari delle mandrie abbiano un’influenza politica sufficiente per evitare la responsabilità”.

Conflitti di interesse e sfiducia sono considerati un altro fattore determinante. Le Istituzioni per la risoluzione delle controversie, compresi i negoziati informali sono percepite come facilmente corrompibili.

Un altro fattore fondamentale, più volte analizzato dall’Atlante delle guerre, è il cambiamento climatico e la conseguente desertificazione. Essendo le terre sempre più scarse e aride i motivi di scontro tra le due comunità che, per necessità diverse, hanno bisogno di terra fertile si fanno sempre più fitti.

Il ruolo delle forze di sicurezza

Nei paesi in cui le forze di sicurezza hanno storicamente goduto di una maggiore fiducia delle popolazioni locali, come il Benin, svolgono anche nel caso di questo conflitto, una riconosciuta funzione di prevenzione. Durante il periodo in cui il Mali aveva un governo eletto democraticamente, secondo il rapporto, anche le forze di sicurezza maliane sono state in grado di sfruttare quella legittimità per disinnescare violenti stalli intercomunali che avevano il potenziale imminente di sfuggire al controllo.

“È sempre più importante – si legge – per gli attori della sicurezza distinguere tra scontri locali tra contadini e pastori e attacchi di gruppi militanti islamisti e rafforzare i meccanismi che riducono il rischio di un’escalation della violenza proteggendo le comunità. Ad esempio, le controversie su incidenti individuali o sui diritti su appezzamenti di terreno possono diventare violenti. Le autorità locali e le forze di sicurezza devono affrontare questi incidenti in modo rapido ed equo per impedire loro di alimentare tensioni intercomunali che potrebbero creare le condizioni per il reclutamento di gruppi estremisti violenti”.

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