Dossier/ L’Italia e la vendita di armi a Paesi in conflitto

Nel 2021 c’è stato, secondo i dati riportati nella seconda versione della Relazione annuale del Governo italiano sull’export di armamenti, il massimo storico di esportazioni effettive con quasi 4,8miliardi di euro. Tra i maggiori destinatari di sistemi militari italiani figurano Qatar (958.849.653 euro), Kuwait (875.393.504 euro), Egitto (773.289.163 euro), Turkmenistan (378.470.352 euro). Paesi che, come noto, non hanno buoni livelli di democrazia e di rispetto dei diritti umani. L’Egitto è anche tra i primi destinatari delle nuove licenze per armamenti italiani (35 milioni), dopo essere stato il primo in assoluto nei due anni precedenti. I suoi corpi di polizia e enti governativi continuano ad essere riforniti dall’Italia di “armi leggere” tra cui pistole e fucili automatici.

Da citare poi l’Arabia Saudita (135.844.327 euro) e gli Emirati Arabi Uniti (122.460.394 euro), impegnati nella guerra in Yemen e il Pakistan (87.774.972 euro). Quest’ultimo, ad esempio, è sostanzialmente in guerra su due fronti: uno esterno con l’India, a causa del Kashmir, uno interno, rivolto verso una galassia variegata di attori armati di matrice jihadista, etno-nazionalista e separatista, soprattutto attivi nelle province del Belucistan e del Sindh. Tra i primi destinatari delle nuove licenze per armamenti italiani ci sono poi le Filippine (99 milioni). Uno Stato che vede almeno due fronti aperti da decenni: il primo con l’esercito governativo impegnato a contrastare i gruppi terroristi e jihadisti, il secondo aperto con la guerriglia di ispirazione maoista.

Inoltre, più di 970milioni di euro di licenze di esportazione (pari al 26,6%) riguarda l’Africa settentrionale, interessata da svariate guerre e situazioni di crisi attive, e il Medio Oriente, da sempre una delle zone più calde del Pianeta dal punto di vista del conflitto.

In questo dossier si ricostruiscono alcuni casi di vendita di armi italiane a Paesi in conflitto.

*In copertina foto by Natalia Hanin on shutterstock

Aggirare l'embargo alla Russia

Nonostante l’embargo in vigore dall’annessione della Crimea nel 2014, l’Italia e altri Paesi dell’Unione Europea hanno inviato negli anni armi alla Russia. Nel 2015, il governo guidato da Matteo Renzi, aveva, ad esempio, rilasciato un’autorizzazione per la vendita di 94 blindati Lince alla Federazione, per un valore di oltre25 milioni di euro e da un’analisi dei dati Istat si evince, come riporta Editoriale Domani, che fra gennaio e novembre del 2021 c’è stata un’esportazione di 3milioni di euro di merci militari sotto embargo verso la Russia.

Ma questo non vale solo per l’Italia. Solo nel 2021, stando ai dati della Commissione europea, il valore delle vendite dei Paesi Ue è stato di 39milioni di euro (nel 2020 era stato 25milioni). Questo è stato possibile perché il divieto di vendere equipaggiamento militare a Mosca, prevedeva una clausola per cui rimanevano validi i contratti di fornitura firmati prima dell’agosto 2014. Alcuni Stati membri, tra cui Polonia e Lituania, hanno impugnato la normativa, ma l’intesa sull’eliminazione di questa clausola è arrivata solo l’8 aprile 2022.

Un’inchiesta di Investigate Europe (sulla base dei dati del Consiglio sulle esportazioni di armi convenzionali) ha portato alla luce che dieci Paesi europei hanno esportato attrezzature militari a Mosca per 346milioni di euro tra il 2015 e il 2020. In cima alla lista si trova la Francia con circa 152milioni di euro, cioè circa il 44% di tutto l’export dell’Ue nel periodo considerato. Segue Berlino con quasi 122 milioni di export, il 35% del totale Ue. L’Italia si piazza al terzo posto: tra il 2015 ed il 2020 sono stati venduti equipaggiamenti militari per un totale di 22,5milioni di euro. Secondo l’Istat, tra gennaio e novembre 2021 l’Italia ha consegnato a Mosca quasi altri 22milioni di euro di attrezzature.

Il caso Yemen con la Rwm

Nel 2021 l’Unità della Farnesina che presiede alle autorizzazioni all’export militare (Uama), dopo una risoluzione parlamentare, ha revocato all’azienda Rwm Italia sei licenze di esportazione del valore 328milioni di euro relative a “bombe d’aereo e missili” che erano destinate ad Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, dal momento che quegli ordigni potevano essere utilizzati per colpire la popolazione civile in Yemen. La revoca di questa licenza ha cancellato la fornitura di almeno 12.700 ordigni che venivano utilizzati dalla coalizione a guida saudita nel conflitto in Yemen. Nello specifico, l’atto governativo ha riguardato licenze che erano state rilasciate all’azienda Rwm Italia per esportare bombe di diverso tipo, ma soprattutto bombe aeree della classe MK-80.

La Relazione governativa 2021, però, riporta quasi 45,9milioni di euro di nuove autorizzazioni per materiali militari destinati all’Arabia Saudita tra cui figurano anche quelli della categoria “M 004” e cioè proprio “bombe, siluri, razzi, missili ed accessori”: pur incrociando i vari dati non è però possibile, secondo gli studi effettuati da Rete Pace e Disarmo, sapere il tipo di bombe e l’azienda che ha ricevuto l’autorizzazione.

La risoluzione parlamentare era arrivata dopo anni di pressioni e mobilitazioni della società civile italiana, che contestavano l’invio di armi italiane alla coalizione a guida saudita: nel 2019 erano stati esportati dalla Rwm sarda quasi 25milioni di euro di controvalore per centinaia di bombe verso l’Arabia Saudita. Per anni rapporti, foto e reportage realizzati in Yemen avevano infatti dimostrato che alcuni resti delle bombe esplose in zone civili, su case e villaggi in cui erano presenti famiglie con bambini, recavano il codice A4447 che riconduceva proprio alla fabbrica di armi con sede in Sardegna.

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